Ho un rapporto conflittuale con l’idea di mascherarsi a Carnevale.
Probabilmente mi ha segnata la scelta di mia madre di vestirmi con la sua personale versione di Pierrot il clown depresso, per 3 anni consecutivi quando ero bambina.
Meno male che c’erano gli abbracci della mia nonna Rita. (Ho scoperto dai vostri commenti che siamo stati traumatizzati in tanti da Pierrot e la sua lacrima triste sulla guancia a Carnevale, abbracciamoci pure tra noi!).
Non ho mai compreso fino in fondo l’esigenza di travestirsi.
Ho desiderato e desidero spesso essere un po’ diversa (più magra, più alta, più bella, più sicura, meno sensibile etc che la lista è lunghissima) ma in fondo nei miei panni mi ci sento bene e so che questa è una grande fortuna.
Io non voglio essere un’altra, voglio essere il meglio di me stessa, di quello che sono.
Per questo motivo con la mia immagine e i miei vestiti ho sempre avuto l’intenzione di raccontare nient’altro che me. Tutto quello che indosso spiega chi sono in modo autentico e reale. E in questo pensiero credo così tanto che ho finito con il farne la mia professione.
Questo non significa, certo, che il mio non sia stato e non sia ancora un processo in costante evoluzione: si cresce, si cambia e il racconto, come in un libro, di pagina in pagina si modula e diventa più articolato.
Questo non significa nemmeno che io abbia sempre sfoggiato look perfetti, anzi! (arrivo presto con un post a riguardo intanto un assaggio lo trovi qui).
Però sono sempre stata io (anche quando pensavo di somigliare a Brenda di Beverly Hills).
Ecco perché travestirsi, seppure a Carnevale, per me non ha mai avuto molto senso: non ho bisogno di travestirmi per liberarmi.
Non ho bisogno di aspettare Carnevale per permettermi di esplorare parti di me e di raccontarle con il mio abbigliamento, imparando a sognare in modo nuovo.
Fanno bene le bambine che, sapendo di essere delle principesse, vorrebbero usare il loro travestimento anche a scuola (e dovremmo imparare da loro).
Cosa mi vieta di sentirmi un po’ Biancaneve ogni giorno con i miei abiti quotidiani e di inserire un tocco di fiaba nei colori dei miei vestiti se mi fa stare bene e mi corrisponde? Perché devo limitarmi a svelare la mia parte Biancaneve solo a Carnevale?
Così è finita che per molti anni nelle occasioni di festa tra amici, a Carnevale mi sono vestita da Biancaneve indossando abiti che usavo anche per andare in ufficio (questa foto è del 2009 e quindi prima che rendessi concreto il mio desiderio di cambiamento professionale, tutta la storia la trovi in questo post)
Da quasi 6 anni, come ti raccontavo qui, vivo a Venezia e mi sono trovata più a stretto contatto con il Carnevale.
Tre anni fa da McArthurGlen Designer Outlet mi hanno persino chiesto di tenere un workshop su immagine e stile ai suoi dipendenti e contatti provenienti da tutto il mondo, in città proprio in occasione del Carnevale.
(quel signore con il drappo azzurro era tipo il capo dei capi, che scene!)
Così mi sono ritrovata a fare formazione in una lounge privata proprio affacciata su Piazza San Marco e le sue maschere. E non mi è restato che adeguarmi e intonare il mio look al clima di festa.
In questi giorni però è successa un’altra cosa: è venuta a trovarmi per il Carnevale la mia amica Alessandra. Lei ama i travestimenti e ha deciso che ci saremmo mascherate tutte e due.
Io ho pensato che avrei potuto cavarmela mettendomi in testa un cerchietto con corna da diavolo applicate, facendo così contenta la mia amica con un impegno limitato e continuando a rimanere nel mio solito look.
Alessandra però una volta arrivata in stazione, vestita da gitana con una bandana in testa, monili alle braccia e uno scialle sulle spalle mi ha presa in contropiede tirando fuori dalla borsa un “gentile pensiero” per me: una bella parrucca bionda da indossare.
Non senza qualche resistenza, mi sono fatta convincere ad indossare la parrucca e mi sono sentita a disagio: sentirmi mascherata contravveniva a tutti i miei principi e mi dava fastidio l’idea di non poter comunicare con il mio vero aspetto, con il mio caschetto nero, chi ero a chi incontravo sulla mia strada.
Il colore biondo inoltre mi ricordava di quando, per evitare di agire nell’infausta ricorrenza del giorno del compleanno di quel mio ex fidanzato che avevo appena avuto il coraggio di lasciare, tra pianti e stridore di denti, e con cui mi ero sempre posta in modalità zerbino, avevo chiesto al mio parrucchiere “fai qualsiasi cosa che mi tenga qui una giornata” e lui mi aveva risposto “ ti faccio bionda” .
Era il periodo le vacanze di Natale e, una volta tornata in ufficio con la mia chioma platinata, il mio capo aveva esordito dicendomi: “hai perso una scommessa?”. Sono stata bionda per 15 giorni.
In più, inizialmente, io e Alessandra avevamo messo male la parrucca che stava un po’ asimmetrica e questo mi infastidiva non poco.
Il caschetto preciso, così come la gioia di realizzare abbinamenti perfetti, risponde alla mia esigenza di limitare quella parte di me anarchica, dispersiva, contraddittoria, magmatica che geometrie e intonazioni, come scrivevo qui, rimettono a posto.
Poi è successa una cosa:
ho realizzato che anche se indossavo una parrucca asimmetrica non stava succedendo nulla di male, le persone mi sorridevano e io sorridevo a loro.
Non faccio un po’ sorridere anche te in effetti?
Ho capito che indossare panni diversi può aiutare a identificare ancora meglio quali sono i nostri e può servire a prendere consapevolezza di quali potrebbero raccontarci davvero a pieno.
Alessandra, per esempio, nel suo vestito da gitana riconosceva una parte di sé che con gli abiti formali da lavoro non sempre riesce a comunicare.
E così Sara, la ragazza che mi porge la mela nella foto sopra, che con il suo travestimento racconta fin da subito tutto il suo piglio da regina.
Mi sono resa conto che mascherarsi non significa solo nascondersi e sopperire con una giornata diversa alla frustrazione della quotidianità, senza però avere il coraggio per cambiarla.
Anzi mascherarsi può essere proprio la scintilla per trovare quel coraggio di svelarci in modo nuovo, agli altri ma soprattutto a noi stessi.
Travestirsi a Carnevale, o ad Halloween e in generale per una “festa comandata” ci rassicura perché tanto “è tutto un gioco”. Un gioco che ci autorizza a lasciarsi andare a qualcosa di inaspettato e altro.
La mia parrucca bionda e la mia amica Alessandra mi hanno fatto comprendere che mascherarsi può avere un un valore positivo e che il travestimento può diventare l’inizio di una scelta liberatoria verso la realizzazione del sé, permettendo di far uscire fuori, sotto forma di gitana, principessa o sirenetta, qualcosa che è sempre stato dentro di noi.
Il travestimento può aiutarci a definire una inaspettata chiave di lettura di noi stessi e farci a vestire in modo nuovo il nostro progetto di felicità.
D’altra parte io stessa chiedo a clienti e partecipanti ai miei corsi di formazione (qui le prossime date) di aprirsi alle possibilità che la moda offre come strumento di comunicazione, lasciando spazio alle suggestioni che provengono da vestiti e accessori, senza pensare, in prima battuta, se sarebbero adatti al loro fisico, alla loro quotidianità o cosa penserebbero gli altri se li indossassero.
E questo esercizio è utile anche per capire come comprare qualcosa che ci somiglia davvero e iniziare ad avere un approccio più consapevole verso il proprio stile.
Così sono certa Alessandra, davanti ad una serie di immagini, sarebbe naturalmente attratta anche da gonnellone ampie e fantasie gipsy, intonate alla parte indipendente del suo spirito e alla sua sensibilità da “indovina”.
La mia bella amica potrà mai andare al lavoro vestita come a Carnevale?
Forse no, però potrà iniziare a svelare, anche a se stessa, la parte più fantasiosa e nomade della sua personalità, con dettagli piccoli ma importantissimi come un paio di orecchini zingareschi, un foulard agganciato alla borsa piuttosto che messo sul capo o una fila di bracciali tintinnanti
Grazie al magico potere degli abbinamenti nemmeno una gonna lunga da gitana sarà fuori luogo rispetto al suo stile da ufficio se Alessandra la indosserà con una giacca classica, una semplice camicia bianca e gli stivaletti alti che indossa abitualmente:
Sarà comunque adeguata alla sua posizione lavorativa ma, ad ogni movimento frusciante della gonna o al tintinnio degli accessori, sono certa che sorriderà alla sua immagine, sono certa che si sentirà ancora un po’ più libera.
La gonna lunga, ripescata dall’armadio per interpretare la zingarella, potrà diventare anche il capo perfetto per passare dal lavoro all’aperitivo con amici la sera:
E tu che travestimento vorresti sperimentare?
Ti senti forte come Pocahontas, poliedrica come Madonna, soave come la Sirenetta o sensuale come una odalisca?
Fatti guidare dalle tue ispirazioni e concediti lo stile che fa per te e parti intanto con la tua maschera di Carnevale.
Osservati intorno e a chiediti: cosa mi piace davvero, cosa sento intonato a me, anche se penso di non potermelo permettere?
Fai così: leggi questo post e chiediti quale look potrebbe ispirare il tuo prossimo travestimento.
Mascherati per trovare te stessa, così potrai iniziare a percorrere la strada che ti porterà a vestirti per essere te stessa.
Magari prima o poi scopriremo che dentro di me c’è proprio una bionda platinata, e dentro di te?
Ti aspetto al mio corso su come trovare il tuo stile e comunicare immagine e moda per scoprirlo (qui trovi tutte le date).
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