Tim Clark psicologo americano e professore di Stanford, è l’autore di Business Model You; è stato il primo a pensare di applicare le regole di successo e fallimento di un processo di business anche a noi stessi e alle nostre scelte di vita e a farlo attraverso una rappresentazione visuale.
La scorsa settimana Luigi Centenaro insieme a Beople ha portato Tim per la prima volta in Italia in occasione dell’uscita della traduzione italiana del libro, curata proprio da loro.
Perché te lo sto raccontando?
Perché tra una conferenza e uno workshop Tim Clark ha fatto shopping insieme a me.
Come forse già sai ho avuto il piacere di curare l’immagine e lo stile di Luigi Centenaro nel corso dell’ultimo anno e a Tim è piaciuto il lavoro che ho fatto con lui, così ha deciso di affidarsi della mia consulenza durante il suo soggiorno milanese.
La lampadina sulla necessità di riflettere sul suo look si è accesa a Tim mentre faceva l’autografo su Business Model You ad un suo fan. Infatti il ragazzo non era riuscito a trattenersi e gli aveva detto: “eh però lei è sempre vestito uguale, ha solo questo vestito?”
Questo aneddoto, anche perché indossava proprio lo stesso vestito notato dal ragazzo, è stato raccontato da Tim anche all’inizio del suo workshop, organizzato in collaborazione con Manager Italia e dedicato ai manager e agli strumenti in grado di fornire loro le chiavi per costruire un nuovo modello di business e affrontare il lavoro che cambia, anche in azienda.
E tra questi strumenti c’è anche la riflessione sulla propria immagine, perché proprio come per le aziende anche l’immagine e la percezione visiva di noi contano.
Che lo si voglia o no infatti l’immagine è il nostro primo biglietto da visita. È la prima cosa che mostriamo di noi, come dice lo stesso Luigi Centenaro nel suo libro Personal Branding: “la prima impressione conta moltissimo: alcune ricerche hanno evidenziato che bastano pochi secondi per formarla, ma che possono servire più di venti ulteriori interazioni per modificarla”.
Di fatto il nostro primo livello di entrata è l’immagine e se quello che diciamo è coerente con il nostro stile il nostro messaggio è rafforzato, l’immagine diventa una nostra risorsa chiave. Quando invece una certa accuratezza del nostro messaggio viene contraddetta dal nostro aspetto questo può provocare, come è successo anche a Tim, un effetto distonico.
Quindi come ho già raccontato l’immagine è importante per definire il nostro personal brand, anche se sei freelance, e viene enfatizzata dalla nostra presenza in rete.
Curare la nostra immagine, cercando di mostrare il meglio di noi stessi, svelando chi siamo in una ottica di business ma senza indossare una maschera (se si finge prima o poi si viene scoperti), può essere utile anche ai fini di una riconsiderazione lavorativa. Sia che, come direbbe Tim, tu voglia fare move up, move out o solo lavorare meglio sul tuo stile e approccio lavorativo.
È stato molto interessante lavorare con Tim al suo look (oltre che sul mio business model una volta in aula), anche solo per un giorno, e mi ha ricordato in parte il percorso fatto con Luigi.
Entrambi hanno un messaggio originale e innovativo e quindi vengono esaltati da uno stile originale e innovativo, che possono permettersi in quanto non devono sottostare a rigide regole di dress code aziendale, ma che deve al tempo stesso essere credibile e autorevole, come il loro messaggio e non troppo estroso per non creare, appunto alla prima impressione, una barriera di pregiudizio.
Inoltre il giusto abbigliamento è certo una questione di tagli e colori ma anche di comodità e chi passa per lavoro molte ore in movimento, sul palco a spiegare concetti complessi e che devono essere compresi nella loro totalità e nelle diverse sfumature, spesso sta in piedi, muove le braccia per enfatizzare i concetti e se può cammina. Per questo motivo qualcosa di “costringente” e in cui non sentirsi totalmente a proprio agio, anche dal punto di vista fisico è totalmente da escludere (lo sperimento io stessa per prima).
Infine spesso i workshop sono di due giorni e quindi chi li fa per mestiere ha la necessità di diversificare il proprio abbigliamento appunto per non sembrare sempre vestiti uguale.
Se anche tu ti rivedi nelle esigenze di Tim e Luigi ecco qualche consiglio generale:
– il nero non è sempre la soluzione, a meno che tu non abbia un certo tipo di incarnato risulterai spento/a e omologato/a e in più accostare due sfumature diverse di nero è peggio che sbagliare ad abbinare due colori.
– l’abito super tradizionale può essere in alcuni casi abbandonato in favore di soluzioni alternative come il completo spezzato e/o abbinato a colori d’impatto, in grado di farsi ricordare, come la camicia rossa di Luigi.
– l’importante è essere curati, così il messaggio che trasmetterai sarà curato, mantieni però una certa freschezza e cerca di non essere stucchevole
– occhio ai dettagli coordinati e agli accessori in grado di cambiare il tono (una pochette, una collana importante, calzini colorati, scarpe basse o con il tacco) all’intero look. Questo non vuol dire esagerare. Est modus in rebus (c’è una misura nelle cose) dicevano gli antichi romani e io mi associo. Basta poco ma quel poco è meglio se è armonioso
– scegli un look personale e personalizzato, che sia riconoscibile e in cui ti riconosci ma che non sia una maschera.
Ecco il video relativo al workshop dove ci sono anche io che mi presto al gioco facendomi fotografare con dietro la parete che casualmente (oppure no? ;)) aveva lo stesso colore del mio golfino.
Ringrazio Luigi, fonte inesauribile di spunti, con cui (e su di cui) è bellissimo lavorare e Tim (che mi ha promesso le foto dei suoi prossimi interventi con i nuovi outfit che ho studiato per lui) per avermi scritto via mail:
Here’s a testimonial you can use if you like:
(OT ringrazio Virginia Scirè per la compagnia in treno e Elisa Motterle e famiglia per l’ospitalità)
In occasione del workshop ho conosciuto tante persone intelligenti, colto storie interessanti e compreso moltissime cose di me grazie agli strumenti di analisi proposti (se vuoi capirne qualcosa di più inizia scaricando gratuitamente la versione italiana del metodo di Tim, riadattata da Luigi Centenaro in termini di personal brand).
E tu? Cosa dice la tua immagine di te?
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