Io sono una radical chic,
prima di abitare al Lido di Venezia (cosa che mi sembra ancora irreale quando la scrivo) conoscevo questo luogo solo per la Biennale Cinema, dove venivo ogni Settembre a vedere film giapponesi sottotitolati in russo che non sarebbero mai comparsi nelle sale.
E lo stesso faccio anche oggi, per non parlare della Biennale Arte e della Venezia delle mostre (di cui ho scritto anche qui su Fashion BlaBla).
Tuttavia sono anche vecchia ormai e in certe abitudini del radical chic non mi riconosco più, tipo:
1. Cose futili come mangiare non sono importanti e gli eventi si possono programmare benissimo alle 8 di sera senza prevedere un buffet.
2. Anche se ci sono 40 gradi se l’outfit è completato da un capospalla manica lunga o da un paio di calze devo soffrire in nome della perfezione del mio look.
3. Se vengono pronunciati nomi di radical chic famosi che non conosco ma pare tutti conoscano sia mai ammettere la mia ignoranza e chiedere semplicemente ulteriori informazioni: annuire con aria saputa è la risposta.
4. Se indosso mise improponibili queste sono anticonvezionali e frutto di anni di ricerca e conoscenza di moda, se qualcuno che mi sembra un fashion blogger indossa le stesse cose le ha copiate da Rihanna, dimenticando che il bello della moda è che è democratica e le sue intuizioni si spargono nel mondo e contaminano e si autocontaminano dall’alto al basso.
5. La tendenza a sottovalutare le persone e la rete, considerata un mezzo per il popolino; farebbe loro bene leggere il libro di Domitilla Ferrari “Due gradi e mezzo di separazione”
Ai radical chic però io voglio tanto bene, specie quando organizzano cose come gli eventi e le sfilate conclusive di IUAV moda, di cui vi avevo parlato qui anche l’anno scorso.
Una occasione in cui viene data l’opportunità a giovani ragazzi che studiano la moda con passione e la prendono sul serio, così come dovrebbe essere per decreto di legge, di mostrare ad un pubblico più ampio (grazie alla direttrice Maria Luisa Frisa presenziano alle sfilate testate come Vogue) cose nuove, completamente slegate dalle logiche di vendita commerciali e per questo portatrici di un respiro più ampio in grado di svelare non solo quello che è accaduto ma anche quello che accadrà, in virtù di una visione decentrata e per questo privilegiata.
Tagli asimmetrici, sovrapposizioni, lavorazioni elaborate, studio dei colori, dei materiali e delle volumetrie.
Una moda universale, né maschile né femminile, portatrice sana di eleganza e rigore, anche nel caso di trasparenze esagerate, inserti in lurex o lattex, o elementi provocatori (come due zampe di gallina pendenti dalla schiena o una maglia dal nome t*shit).
Un approccio futuristico che unisce forma e sostanza in uno stesso afflato.
Ecco un po’ di foto, che risentono del fatto di essere state scattate quando ormai era già buio, che ne dite? Maschietti siete pronti all’abito lungo?
Rispondi