E’ relativamente da poco che studio, affascinata, questo fenomeno. Cioè da quando ho deciso, con entusiasmo peraltro, di buttarmi nel vuoto e iniziare questa nuova attivita.
Gli addetti ai lavori usano ben altri canali per identificare le tendenze e fare ricerca; inoltre la vita di azienda non lascia molto spazio alla vita mediatica sociale e ,dopo una giornata passata ad analizzare flussi di vendita, percentuali di sconto, valori di acquistato e immagini di collane, fermacapelli, bracciali etc provenienti dalla Cina, sempre più vicina, la sera non hai nessuna voglia di accendere ancora il computer e finisci con il catatonizzarti davanti a Grey’s Anatomy.
Personalmente ho sempre pensato che la moda fosse una cosa seria, che andasse studiata, approfondita, capita, amata così come ho fatto io e come vi racconto qui. E che, anche qualcosa di molto contemporaneo come lo studio delle tendenze del momento, andasse sempre fatto, utilizzando una sapienza derivata dalla conoscenza della materia moda in toto, anche in riferimento al suo passato.
Cerco di spiegarmi meglio: se va di moda la tuta, ma tu non sai che strada ha fatto questo indumento dalla concezione di abito totalitario di Thayaht, al legame con attività lavorative considerate poco nobili ma legate al concetto di protesta non puoi rivisitarla in maniera corretta e non puoi nemmeno commentarla in maniera corretta.
Le fashion bloggers che si fotografano o si fanno fotografare (che poi girano sempre con qualcuno compiacente- la malevolenza mi indurrebbe a dire anche pagato- ma come fanno?) con abiti, abbinamenti e colori che gli stessi fashion designer e poi gli stylists e i buyers hanno suggerito loro, in quanto stylist e buyer mi hanno sempre lasciata perplessa; anche perché spesso la loro visibilità è proporzionale alla disponibilità economica che possono investire nello scegliere pezzi di brands noti e mediaticamente quotati. La super famosa Chiara Ferragni che, ancora agli esordi, possedeva una Balenciaga per colore da abbinare ai diversi outfits è solo un esempio mirabile.
Inoltre molto spesso non c’è proprio alcun contenuto, si tratta solo di belle foto, ma con instagram tutte le foto diventano più belle si sa, con outfit più o meno giusti a seconda dei gusti e delle tendenze e, se proprio c’è dell’impegno, l’indicazione della marca dei pezzi che compongono il look e in alcuni casi il prezzo o un sito di riferimento dove poterli reperire.
Infine oltre alla moda una mia grande passione è quella di leggere e ci sono dei bloggers che seguo in quanto ottimi scrittori (Nonsolomamma il primo tra questi); l’approccio solo fotografico mi ha sempre lasciata molto fredda. Un conto poi, sono le foto che sono esse stesse dei racconti di attimi e sottendono significati ed emozioni, ma una giovane ventenne ricca che si fa fotografare con il suo trench Burberry per mostrare che papà glielo ha potuto comprare ha sempre avuto poco senso ai miei occhi. Alla stessa stregua i post banali e tutti uguali di chi pensa di saperne di moda magari perché è commessa o fashion addicted ma che di cultura della moda e tecnica della stessa non si è neanche mai presa la briga di studiare qualcosa.
Ma il web è democratico e quello che viene proposto è lo specchio stesso della società.
Come scrive qui l’ottimo Simone Sbarbati Editor-in-Chief e Creative Director di FrizziFrizzi (una rivista on-line su moda, arte, design, libri, cibo e tempi moderni con un taglio davvero interessante e unico) i suoistessi lettori si lamentano degli articoli troppo lunghi, affermando di non aver tempo di leggerli, perché siamo nel 2013, e che lo stesso inventore di WordPress, Matt Mullenweg, ha rivelato che sulla sua piattaforma la lunghezza media di un post è di appena 280 parole.
Bisogna tenere conto di queste cose. Anche da studiosi. Io ho fatto una tesi di laurea in “Iconologia e Iconografia” su foggie, usi e costumi del copricapo nella moda tra le due guerre. E, oltre al sottotesto fornito dai vari volumi sul periodo in generale e sulla moda del periodo in particolare, buona parte della mia ricerca diretta è stata rivolta allo studio delle immagini. Passando dai giornali di moda a riviste di costume come “La Domenica del Corriere”.
E se fra ottant’anni una studentessa volesse analizzare dal punto di vista iconografico e iconologico la moda dei nostri tempi non potrebbe esimersi dallo studiare il fenomeno delle fashion blogger, anzi potrebbe diventare un particolare punto di vista e di analisi.
La fotografia è immediata e le fashion blogger sono in certa misura l’interpretazione dei nostri tempi. Così quando su Facebook la mia cuginetta di 16 anni non faceva che cliccare “mi piace” sulle pagine di un sito come Stylight.it ho deciso che era tempo di lasciare da parte lo snobismo e di capirci qualcosa di più.
Si tratta di una piattaforma, uno spazio per tutti, blogger e persone comuni, all’interno del quale esprimersi e interagire attraverso i Mood Boards, ovvero dei collage di immagini di outfit, musica, citazioni, video.
In più è disponibile una vetrina in cui per categoria sono raggruppate le proposte di acquisto migliori o più convenienti della rete, provenienti da diversi siti di vendita on-line e quando selezioni un articolo si apre una pagina come questa che ti fa vedere se l’articolo scelto è stato utilizzato in qualche mood board e come è stato abbinato.
Certo il mio lavoro è un’altra cosa ma se vogliamo vedere il lato positivo della faccenda si tratta di promozione indiretta e un buon modo per abituare un target che potrebbe essere interessato ai miei servizi a capire cosa si intende per consulenza di immagine e perché questa sia utile. Ripeto professionalità, studio ed esperienza sono un’altra cosa ma tutto fa brodo. E quello che non uccide fortifica.
Inoltre vedere anche come sono composti questi mood board aiuta ad avere un contatto più diretto con lo stile delle giovani generazioni, si tratta quasi di una visione dello street style e da cool hunter non posso che subirne la fascinazione. Gli addetti al mestiere moda sono spesso arroccati sulle loro idee canonizzate ma io sono convinta che un bel tuffo nella realtà, senza snobismi di sorta, aiuti ad essere sempre contemporanei e attuali nelle proposte e nel modo di approcciarsi agli altri.
Se il mondo cambia è necessario adeguarsi e tributare la giusta considerazione alle nuove modalità di espressione, anche nella moda. Studiando anche queste in maniera analitica per crescere sempre ancora un po’. Insomma, per farla spiccia, anche gli orridi leggings usati come pantaloni sottointendono un fenomeno sociale e di costume che non può essere ignorato, anche se tanto lo si vorrebbe.
sabrina g. dice
Personalmente non amo le fashion bloggers che riempiono il loro spazio virtuale con foto di outfit e basta. Nel mio blog non parlo solo di moda, ma qual’ora lo facessi sarei troppo timida per farmi fotografare quotidianamente con un look diverso. Credo inoltre che la moda sia un argomento che va studiato ed approfondito, come dici tu, e che comunque noi commesse almeno un minimo di conoscenza dovremmo averla anche perchè i clienti sono sempre più consapevoli ed informati!ciao!
Annaturcato dice
Ciao Sabrina. Io non ho assolutamente nulla contro le commesse. So bene che è un lavoro duro. Durante l’università per arrotondare mi sono spesso fatta i week-end come commessa part-time e ho sempre nutrito la massima stima per la professione. Ci vogliono non solo competenza ma anche infinita pazienza e un fisico di ferro per sopportare le molte ore in piedi, spesso senza potersi mai sedere (che se no “il paron” ti guarda male perchè non produci). Io solo non sopporto gli improvvisati e sono per il cercare di implementare ogni giorno le nostre conoscenze. E sono convinta che la moda non sia un argomento frivolo di cui tutti possono diventare influencers. Però come ho già detto il web è fortunatamente democratico e se si è umili e intelligenti si trova qualcosa da imparare da tutte le forme di comunicazione.
Daniela dice
Ecco un altro aspetto che condivido appieno: nonsolomamma è straordinario, i libri di Claudia De Lillo fantastici (l’avevi vista in tv quando, ormai + di 2 anni fa, faceva l’ospite nella trasmissione di Camila Raznovich?).
Ogni giorno sbircio i siti delle fashion blogger come itgirl, cosamimetto, dontcallmefashionblogger e altri e la domanda che mi viene sempre + spontanea è: ma quanto spendono ogni mese in capi di abbigliamento?
Capisco Chiara Ferragni, ormai non è + una semplice fashion blogger ma titolare a pieno carico di un’azienda con un fatturato mica da poco. Ma le altre fashion blogger, diciamo più caserecce, come cavolo fanno a permettersi una Cèline blu, una gialla, una rossa, una Chanel, una Dior, una Givenchy? E non parlo solo di borse. Jeans da 200 euro a botta, giacche di Armani o pump di Loubitin.
La mia famiglia sta bene, ma mai mi sognerei di spendere più di 2000 euro al mese per uscire di casa accessoriata da battaglia.
Il punto è che, come hai chiaramente detto tu, l’immagine che si da alle ragazze più giovani è che se non hai una borsa LV o Chanel non sei nessuno.
Io fino ai 30 anni giravo con borse di Benetton, Stefanel o Sisley che ora sono scomparse dalla scene e che non sia mai! vengano fotografate dalle fashion blogger.
A certo, l’unica cosa che fanno è, of course, mettere qui e là qualche accessorio di Zara perchèfatendenza.