Di Boss in Incognito, nuovo programma di Rai Due si è parlato meno di quello che pensavo.
Il boss che va, appunto, in incognito a studiare i suoi dipendenti da vicino, per capire le problematiche dell’azienda pare essere meno interessante per esempio di un talent sulla scrittura.
Ma si sa gli italiani sono tutti poeti, naviganti ed eroi e un Fabio Volo si cela dentro ad ognuno di noi.
Sarà la piega buonista di Boss in incognito in cui, alla fine, i malcapitati che hanno avuto la sfortuna di essere cavie del boss vengono pure premiati con viaggi, denaro o scatti in busta paga ad avere poco appeal?
Eh già perché di solito i dipendenti sono lavoratori modello e nascondono storie umane toccanti; nascondono neanche tanto perché praticamente si confessano con il boss in incognito appena lo incontrano (che certo è normale vedere uno per la prima volta e subito raccontargli tutti i tuoi fatti più intimi, ma forse sottovaluto il potere delle telecamere).
Ben altra storia la cattiveria del famoso “Sei fuori” con cui Briatore estrometteva dal suo sogno rampanti sgallettate e uomini con scarpa di vernice senza calzino ma con tatuaggio (e ho detto tutto).
Io però da questo programma sono stata colpita più che da altri.
Non per la conduzione di Costantino della Gherardesca che pure sempre mi sta simpatico.
Non per le lacrime che vengono sgorgate dall’inizio alla fine di questo paradigma dell’ incontro tra il povero e il ricco.
Non per le storie toccanti di quella a cui è morto il padre mentre lei gli era in braccio, di quello che ama il suo lavoro di spazzino che non si è mai mosso dalla sua città, la cui unica soddisfazione è una targa del sindaco perché sulle strade non c‘è neanche un mozzicone di sigaretta e il cui unico sogno è andare in crociera (magari non con Schettino ecco), o di quella lasciata dal marito dopo anni di onorato servizio e ora cornuta e mazziata.
Scusate il cinismo ma sembra che se non hai una storia strappalacrime nell’armadio non puoi andare in tv e di questo mi era già venuta la nausea guardando proprio Masterpiece, dove passava il messaggio che non puoi scrivere un libro decente se non sei tu non sei tu stesso un personaggio da libro.
I problemi li abbiamo tutti, c’è chi è più fortunato e chi meno. E questa è la realtà
Ma è stata appunto questa mancanza di realtà a colpirmi nel programma Un boss in Incognito.
Già il fatto che ci siano le telecamere e i dipendenti lo sappiano, visto che viene detto loro che stanno girando un documentario sul lavoro, falsa inevitabilmente il tutto.
Ok vogliamo credere che sia tutto vero e che non sappiano che il loro boss e lì con loro, ma sanno che quello che fanno verrà mostrato in tv. E allora logicamente lavoreranno duro, non faranno pause, non parleranno male dell’azienda e tratteranno benissimo il nuovo venuto, non cercando di rifilargli le mansioni più pesanti e/o noiose.
Saranno cioè il dipendente modello.
Magari è vero che quelli che sono comparsi nel programma sono tutti dipendenti modelloche ,per non perdere tempo, si portino pure il caffè alla scrivania, senza che nessuno glielo dica ma per puro spirito di rispetto aziendale, non rispondano al telefono privato se non per gravi emergenze, non vadano quasi mai in bagno e siano dediti all’azienda come se fosse cosa loro. Lavorino insomma al massimo, non aspettandosi niente in cambio se non la soddisfazione del tutto personale di aver fatto bene il loro lavoro ed essersi guadagnati la pagnotta, consapevoli della fortuna di averlo un lavoro (che si deve solo ringraziare non importa come ti trattino).
Io mi sono comportata esattamente così per tutti gli anni che ho lavorato in azienda, c’è chi può riuscirci per una vita.
Quello che più mi perplime è l’atteggiamento del boss.
Io qui parlo di moda e di quello che conosco. Quelle rappresentate nel programma Boss in incognito sono tutte aziende padronali (giocoforza) e se c’è una cosa che conosco bene sono le aziende padronali.
Il boss (o il padrone che dir si voglia) personalmente, guardando questo programma, lo ho riconosciuto solo quando si incavola perchè le chiavi del suo automezzo aziendale sono state lasciate all’interno senza chiudere la portiera, o quando i capi esposti in negozio non sono messi per gradazione di colore o c’è un disassortimento di taglie.
Tutti errori ovviamente ma che alla fine, al momento del premio, diventano per il boss meno importanti degli aspetti positivi di ogni dipendenti. E scusatemi davvero ma questo faccio fatico a crederlo.
Voglio essere il più imparziale possibile e non intendo assolutamente dire che tutti i titolari di azienda siano come quelli (e purtroppo ne esistono tanti) che non pagano regolarmente i dipendenti ogni mese perché c’è la crisi, pure se possono vantare il famoso tempo indeterminato, ma hanno al villa al mare e quella in montagna.
Ma non trovo corretta questa ansia sterile di nobilitazione di una categoria.
E non mi piace che passi sotto silenzio il fatto che la commessa, convocata a fine programma dal boss, dica <eh non so perché mi stanno chiamando, sono molto preoccupata perché so che stanno chiudendo molte filiali da un giorno all’altro>. Appunto da un giorno all’altro e con poco preavviso. Basta pensare alle recenti cronache venete.
Come mi piace sentir dire da Costantino, con con il tono più tranquillo del mondo: <<per provare l’esperienza della fabbrica il boss andrà ad Instanbul dove ha i suoi stabilimenti, ha scelto la Turchia perché lì è riuscito a trovare gli standard qualitativi più simili a quelli italiani>>. E trovare gli standard qualitativi italiani in Italia?
Lo sappiamo tutti che le fabbriche chiudono qui perché è più conveniente la manodopera in paesi appunto come la Turchia, ma sono rimasta di sasso a sentirlo dire con questa naturalezza, e senza nessun accenno di mestizia, alle 21,30 di un lunedì sera sulla quella rete che ci propone alla stessa ora, ma in un altro giorno, le inchieste di Santoro o della Gabanelli sullo scandalo della chiusura degli stabilimenti Electrolux nel Pordenonese.
Conosco bene la differenza tra il fatto in Italia e il fatto in Cina o in altri paesi. Ho toccato negli anni questa differenza con mano. E sostengo che proprio la capacità di non arrendersi alle logiche di un mercato che ha reso ancora più precaria la situazione dei dipendenti dei vari boss, potrebbe essere la chiave per risollevare e far uscire dalla crisi una tradizione culturale italiana, come è di fatto quella della moda.
Mi piacerebbe vedere un giorno un programma, magari sempre condotto da Costantino, che parli, senza retorica al grande pubblico (e non sempre da e per addetti ai lavori), della capacità di riscoprire il valore dell’oggetto e di chi lo crea e il conseguente scegliere, parlando sempre di moda, di vestirsi in maniera consapevole.
Voi che ne dite? Lo avete visto un boss in incognito?
monica dice
Non ho visto il programma in questione. In generale non amo i reality, né l’esposizione pubblica di fatti privati, in genere. Apprezzo tuttavia il tuo post, a prescindere da ciò da cui prende spunto perché, appunto, ne trae solamente spunto per affrontare con profondità il tema dei temi: il rispetto. Pur senza nominarlo mai, è il tema. Brava!