Ti dico una cosa su di me: io amo la filosofia.
“Anna, non è mica una novità! Lo hai già scritto in questo post del lontano 2015, in cui paragonavi il tuo lavoro di consulente d’immagine alla maieutica di Socrate!”
È vero ma adesso voglio raccontarti una storia, una storia che non ti ho mai raccontato prima.
Io ho fatto il liceo classico, un tipo di scuola che chi l’ha frequentata si sente in dovere di menzionare. Forse per le ore passate e il sudore versato sulle versioni di greco e latino.
Perché mi sono orientata sul liceo classico? Il motivo risale alla quarta elementare, quando, dopo aver letto “Piccole Donne”, mi rivolsi a mio padre con queste parole: “da grande voglio diventare una scrittrice, che scuola devo frequentare per cominciare?”.
Lui mi rispose che una buona scelta poteva essere quella del liceo classico, dopo le medie. Così ho fatto.
L’altro motivo della mia preferenza erano “i miti”: come avrai già capito ho sempre avuto una passione per le storie e la mitologia antica esercitava su di me un fascino particolare. Non vedevo l’ora di imparare qualcosa di più rispetto a quanto avevo già appreso da Pollon.
Sì, ma la filosofia?
Non conoscevo questa materia prima di iniziare il liceo. È stata una vera scoperta.
Ed ecco la storia che non ti ho mai raccontato.
Il mio professore di filosofia per 5 anni è stato un prete.
Don Battaglia, così lo chiamavamo anche noi studenti: un prete che a me allora sembrava vecchissimo (e che forse poi non lo era così tanto, anche se prossimo alla pensione).
È la prima volta che parlo di lui. Ho sempre avuto un po’ di timidezza nel farlo.
Don Battaglia era un prete davvero sui generis.
Affermava, infatti, che aveva indossato l’abito talare per poter continuare gli studi più che per vocazione.
La sua era una famiglia molto povera e entrare in seminario era stata l’unica maniera per non andare a lavorare da piccolo, continuando invece a studiare.
Cosa lo affascinava fin da bambino? “Quello che non si vede”, ci diceva.
Nel tempo Don Battaglia aveva compreso che era molto più interessato ad Aristotele che al Salmo Responsoriale e aveva deciso di diventare professore di Filosofia, invece di dedicarsi ad una parrocchia.
Portava nelle sue spiegazioni la passione per la complessità dell’animo umano, non colorava mai le sue parole di retorica o fervore religioso. Non era quello il suo ruolo.
Il suo ruolo in classe, a suo parere, era quello di stimolarci e così di aiutarci a crescere.
Don Battaglia mi ha insegnato a ragionare.
Mi insegnato ad esporre il mio pensiero.
Don Battaglia mi ha insegnato anche a combattere per quello in cui credo.
Il suo insegnamento della Filosofia era molto particolare, lui non si limitava ad esporre i concetti e poi a chiedercene conto.
Ci faceva dialogare in classe, proprio come quei greci che la Filosofia l’avevano inventata.
Immaginiamo un dibattito tra Socrate, Aristotele e Platone sull’animo umano: dalla parte di quale filosofo vi schierereste?
Hegel afferma che “tutto ciò che è reale è razionale e tutto ciò che è razionale è reale”. Secondo voi cosa significa? E cosa ne pensate?
Nietzsche sostiene che Dio è morto e che lo abbiamo ucciso noi, secondo Feuerbach Dio è una proiezione dell’uomo, una sua invenzione. Quale è il vostro punto di vista?
Quale è il vostro punto di vista.
Una domanda importantissima, ancora di più se posta a degli adolescenti quali noi eravamo. Perché ti aiuta a capire che tutti hanno un punto di vista, che possono averlo e possono anche spiegarlo con chiarezza e fierezza.
Una domanda, questa, che ti rende importante, rende il tuo pensiero importante, rende l’idea che tu abbia un pensiero importante.
E ti impedisce di diventare un automa e una persona in balia esclusivamente dei convincimenti altrui.
Ovviamente il professore non ci lasciava allo sbaraglio, durante le nostre discussioni in classe: ci accompagnava a confrontarci, ci guidava nel coltivare il rispetto reciproco qualora fossimo in disaccordo, ci apriva degli squarci su “lati della faccenda” che non avevamo considerato, ci offriva punti di vista differenti e soprattutto ci insegnava a relazionarci tra noi e con il mondo.
E poi, a intervalli regolari, ci chiedeva pure delle spiegazioni scritte in merito all’argomento che stavamo affrontando in classe sotto forma di tema.
Aiutandoci, quindi, a migliorare anche le nostre capacità di scrittura.
Nel tema il compito a noi affidato non era solo quello di “descrivere una corrente filosofica” ma di identificare “un filo rosso” temporale.
In che periodo storico si sviluppano le teorie empiriste di Bacone?
Perché Kierkegaard proponeva il primato del singolo rispetto all’universalità? In che modo queste idee si intonano a quello che succede nella storia e nella cultura nei primi dell’Ottocento.
“L’oggi è sempre debitore allo ieri e ci aiuta a conoscere il nostro domani”, ci diceva Don Battaglia.
E poi ci suggeriva di esporre la nostra opinione, il nostro punto di vista, di nuovo, con lucidità e in modo che risultasse chiaro a chiunque avrebbe letto le nostre parole (anche qualcuno che di filosofia non sapeva nulla).
Per il nostro professore la chiarezza era molto importante: la tua “filosofia” serve a poco se nessuno la intende.
Ma c’è di più.
Don Battaglia mi ha aiutata a capire, in un momento formativo della mia vita, il valore della mia unicità.
Il professore apprezzava molto le mie esposizioni in classe e i temi che scrivevo e questa, per me, era una novità. Io sono sempre andata bene in italiano: le cose le sapevo perché le studiavo con attenzione e impegno e quindi prendevo dei buoni voti ma la mia scrittura veniva definita sempre troppo personale.
Quel troppo personale che per il mio insegnante di filosofia era un valore.
Secondo lui io stavo imparando a comunicare e i 9 vergati di rosso sui miei temi non avevano per me solo un senso di “gratificazione per la votazione” ma assumevano il profumo della crescita oltre che dell’accettazione.
Quei 9 mi dicevano che andavo bene così come ero.
Quei 9 mi dicevano che ero sulla strada giusta: la strada verso di me.
Mi suggerivano, anche, che quello che stavo capendo delle mie opinioni, del mio punto di vista sulle cose e sul mondo aveva un senso per il mio presente e per il mio futuro.
Ti svelo una cosa: io mi sono sempre sentita diversa e questo mio sentire, da bambina e da ragazza, è stato per me una difficoltà.
Non sono mai riuscita a fare le cose “che facevano tutti”, troppo goffa, troppo pensierosa, troppo impegnata a scandagliare ogni mia azione e a ragionarci sopra. Troppo impegnata a ricercare, ad approfondire, a capire.
Troppo me stessa.
Per tanto tempo ho desiderato essere “qualcun’altra”, qualcuna più sicura, meno appesantita dai suoi dubbi, anche più sveglia, in Veneto si dice “sgaia”.
Qualcuna che sul Tagadà stesse al centro e in piedi, come i fighi, non ai bordi immaginando “cosa sarebbe potuto succedere”.
Non certo una che, come me, sul Tagadà manco ci saliva perché non sentiva quella giostra affine a sé.
(il Tagadà è una citazione solo per gente con una certa età, agevolo diapositiva della giostra in questione, una sorta di disco rotante).
Mi sono innamorata della filosofia perché mi consentiva di dare sfogo al mio modo di essere: ragionare, cavillare, intuire tra le parole, guardare le cose da un’altra prospettiva. Tutto questo era necessario per comprendere la materia. Tutto questo era l’essenza stessa della Filosofia.
Soprattutto per come questa materia ci veniva insegnata da Don Battaglia.
Io penso onestamente che non sarei la stessa persona se non lo avessi conosciuto.
Non avrei la medesima contezza di me e non avrei sviluppato allo stesso modo un pensiero critico, analitico e soprattutto un pensiero laterale.
Non sarei la donna e la professionista che sono.
Don Battaglia rappresenta uno dei miei più grandi rimpianti perché queste cose che scrivo a te a lui non ho mai avuto coraggio di dirle.
O meglio forse l’ho fatto, ma in modo molto maldestro.
Prima della maturità, infatti, il mio professore di filosofia mi aveva prestato un libro. Non ricordo nemmeno su quale argomento ma probabilmente aveva a che fare con la mia tesina (che trattava del pessimismo, allegria!, e dentro ci avevo messo tutte le mie passioni di allora: Leopardi, Schopenhauer, i futuristi…etc).
Prima di riportargli il libro, ho inserito tra le pagine un biglietto in cui lo ringraziavo per essere stato il mio maestro.
Quando gli ho restituito il testo, ho bofonchiato un grazie emozionato e sommesso e poi sono “fuggita” in preda alla timidezza e alla vergogna: non ho mai saputo se abbia trovato il biglietto e cosa ne avesse pensato.
Che scema sono stata! Avevo 18 anni.
Perché non ho studiato Filosofia all’Università?
Era tra le opzioni, così come Scienze della Comunicazione che nel 1999 (anno della mia maturità – quanto sono vecchia!) era una facoltà nuovissima a Padova e per cui avevo provato il test di ammissione. Risultato? Ho passato con ottimi risultati la selezione per Scienze della Comunicazione, l’ho visto come un segno del destino e mi sono iscritta a quella facoltà.
Per lungo tempo, ad ogni ragazzo che mi piaceva ho chiesto quale fosse il suo filosofo preferito così da capire se tra noi poteva funzionare.
Ed è finita che mi sono sposata un laureato in Filosofia.
Don Battaglia mi è venuto spesso in mente ultimamente.
Nell’ultimo periodo, infatti, mi è capitato ancora di sentirmi “quella sbagliata”.
Quella che per gli standard dei social “non va bene” perché scrive sempre più dei caratteri consentiti da Instagram, quella che propone spessore quando “non va di moda”.
Quella che non è fatta per i balletti di TIK TOK e che “in un minuto di Reel, come fai ad approfondire un concetto?”
Intendiamoci: anche i Reel possono avere un senso se hanno un contenuto e se sono studiati con cura e competenza (come ho cercato di fare qui, qui, qui o qui sulla Regina Elisabetta).
Citando persino Bridgerton qui.
Per parlare, in realtà, della ingiustamente poco ricordata Fernanda Gattinoni.
In verità è una grande capacità quella di saper usare mezzi “semplici” per dire qualcosa di complesso, rendendolo così più accessibile.
Un po’ come quando negli anni ’80 Franco Battiato faceva musica dance adattandosi al mercato, per farsi conoscere, ma sperimentava con le sonorità e con testi in cui cantava “la grazia innaturale di Nijinsky. E poi di lui s’innamorò perdutamente il suo impresario. E dei balletti russi”.
(Pure citare Battiato forse mi rende quella strana, e non è mica la prima volta che lo faccio, era già successo qui.)
Altra cosa, però, l’idea di ridurre la competenza in poche parole o peggio in pappette omogeneizzate, perché ok la capacità di sintesi ma la competenza a forza di sintetizzarla si rischia di annullarla.
Altra cosa, di nuovo, le etichette preconfezionate, la superficialità e la mancata professionalità dilagante a cui personalmente non riesco ad adeguarmi.
Motivo per cui ultimamente mi sono sentita di nuovo inadeguata, come sul Tagadà.
E, in questo modo, ho rischiato di perdermi dentro ad un bicchier d’acqua di dubbi e lamentele.
Di sottovalutare chi sono, focalizzandomi su chi non sono.
Mi ero dimenticata che la soluzione non è opporsi a chi si è ma indossare la propria autenticità e illuminare così la propria diversità che, vestita di gioia e fierezza, diventa unicità e originalità.
Perché è così che si fiorisce.
Mi ero dimenticata che se il Tagadà è una giostra che non fa per te (perché la trovi anche un po’ stupida) ci sono tantissime altre giostre su cui andare che rischi di non vedere, se te ne stai lì a fissare il Tagadà e le tue presunte inadeguatezze.
Te lo confesso: ancora adesso a volte vorrei pensare di meno, essere meno “complessa” (come mi definisce mio marito quando desidera dimostrarsi gentile e non dire “pesante”), fare meno riflessioni e anche farmi meno paranoie.
Eppure ad un certo punto ecco l’illuminazione: ho capito che la chiave è tutta qui!
Nella mia attitudine a pensare, riflettere, studiare, interpretare, filosofeggiare.
Ecco, negli ultimi mesi mi sono ricordata proprio di una cosa, mi sono ricordata che il mio approccio alla consulenza d’immagine ha molto a che fare con la filosofia.
Scrivo che me ne sono ricordata perché in realtà, come abbiamo detto fin dall’inizio, lo avevo scritto anche qui nel 2015 e, da allora, non è mutato il mio modo di intendere il mio mestiere (così come non è mutato il motivo per cui lo ho scelto).
Rimanendo sempre coerente rispetto a come io ritengo sia corretto svolgere il lavoro di consulente d’immagine.
Eppure dal 2015 tante cose sono cambiate, io sono cresciuta in età ma anche in competenza ed esperienza e, in questi anni, ho avuto modo di conoscere e incontrare tantissime di voi.
Voi che mi avete aiutata a crescere sempre di più.
Voi che siete in continua evoluzione, mosse dal desiderio di indossarvi con gioia e fierezza e che mi chiedete “ma perché amo le righe e cosa dico agli altri quando le metto? “E se non mi piacciono cosa vuol dire?”. O ancora: “Come mai mi colpiscono gli abiti svolazzanti o perché vengo attratta dai look minimal?”. E pure: “come mai apprezzo sia gli abiti svolazzanti che i look minimal, posso combinare queste due parti di me?”.
Voi che avete accompagnata a definire, in modo ancora più efficace e sicuro, la mia filosofia.
Insieme abbiamo fatto fiorire la nostra filosofia.
Una filosofia per accompagnarvi a fiorire.
La filosofia che permea ogni mia azione, ogni mia scelta, ogni mio contenuto professionale anche sui social network.
Pure quando “giochiamo” su Instagram con le domande aperte in merito al vostro vestito o accessorio del cuore, al vostro abito da sposa dei sogni, alle scelte di stile che vi colpiscono, alle parole che vi raccontano e che possono diventare un modo di vestirsi… e molto molto altro (trovi tanti spunti nei “circoletti” su IG).
E io vi leggo e vi “interpreto” con filosofia.
Con stilosofia.
La mia STILOSOFIA.
Che emozione presentare questa parola che ci accompagnerà a lungo da adesso in poi.
E a proposito di “partire dalle basi”:
cosa intendo con il termine STILOSOFIA?
Analizziamo innanzitutto l’etimologia (che, come ho scritto prima, io ho fatto il classico e so bene che si inizia sempre da qui).
In greco la parola Filosofia significa “amore” – “φιλεῖν“ per la sapienza” – “σοφία”.
Sofia in greco, però, non vuol dire solo sapienza, vuol dire scienza, dottrina ma anche ragionamento, studio.
E lo stile? Con stile – “στῦλος” gli antichi greci intendevano il termine colonna. E in effetti le colonne greche avevano molti stili (dorico, corinzio, ionico: ti ricordi?).
Per i romani lo “stile” era la penna con cui si scriveva sulle tavolette cerate, incidendole. Nel tempo, il passaggio ulteriore di significato è che lo stile diventa il modo di scrivere proprio di una persona.
“Il modo di scrivere di una persona”. “La maniera di raccontarsi”.
“Il modo di comunicarsi”. “La maniera di indossarsi”.
Uniamo quindi i puntini: STILOSOFIA significa studio e ragionamento sul proprio stile.
Stilosofia significa conoscenza e consapevolezza di come vogliamo scrivere e vestire noi stessi.
Comunicandoci, così, agli altri.
E sì perché l’attitudine con cui prendiamo la penna e creiamo una O oppure una N non è uguale a quella di nessun altro. Così è unica e originale la nostra attitudine nello scegliere gli abiti che indosseremo.
Con il tratto grafico, con la voce, con le parole che scegliamo e usiamo e con gli abiti che decidiamo di indossare: noi parliamo di noi e spieghiamo chi siamo.
Tu hai ne hai consapevolezza?
Lo sai quale è il tuo vocabolario di stile?
Perché sei attratta dai pois e non dai quadri o viceversa? Che cosa comunichi mettendo la lana piuttosto che la seta?
Come mai ami indossare il blazer o quale è il motivo per cui con questo capo ti senti sempre a disagio?
Pensa al tuo armadio e ti verranno in mente tantissimi esempi di scelte che fai ogni giorno e su cui, magari, non ti sei mai soffermata e/o interrogata.
Lo ricordo sempre: in pochi secondi attraverso la nostra immagine possiamo dire qualcosa di noi, prima ancora di aprire bocca.
È un’opportunità che abbiamo ogni giorno. È una cosa che ci capita ogni giorno, anche quando non ci pensiamo.
Tu lo sai cosa dici con la tua immagine?
Sei consapevole di cosa suggerisci con il tuo abbigliamento? E le tue “parole visive” corrispondono ai tuoi desideri e ai tuoi obiettivi?
Ti sei mai studiata con filosofia?
Hai mai capito quale è la tua personale teoria di stile e abbigliamento?
È quella che ti fa sempre sentire a tuo agio e non ti fa mai dire “non so cosa mettermi”.
Sapersi, conoscersi è l’inizio di tutto, la consapevolezza è l’inizio di tutto, l’inizio della fioritura.
Gli abbinamenti contano tantissimo per modulare i discorsi e definire le intonazioni.
Scopriamo tutto insieme!
Hai presente quando finalmente ti vedi per quella che sei? Succederà!
Ti aspetto a questo corso!
Prenderemo in esame diversi tipi di capi e di accessori, analizzeremo fantasie e tessuti e di ogni elemento (ruches, fiocchi, scollature etc) ti racconterò cosa comunicano. Così potremo capire se la loro comunicazione è in accordo con la tua.
Hai già frequentato un corso con me o abbiamo fatto una consulenza insieme?
Ti aspetto per imparare tante cose nuove. Questa evoluzione l’ho pensata proprio per te che sei sempre nel mio cuore e nei miei pensieri.
Non potrai partecipare dal vivo?
Avrai a disposizione la registrazione della lezione da rivedere quando, dove e come vorrai.
Io non vedo l’ora di cominciare con STILOSOFIA! Sarà bellissimo intraprendere insieme anche questo viaggio, dentro e fuori di noi!
(Grazie Don Battaglia!)
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