Quando mi presento alle persone e capiscono che il mio lavoro è fare la consulente d’immagine, spesso le domande più ricorrenti sono di questo tipo: che colore mi sta bene secondo te? devo andare al matrimonio di mia cugina che abito di tendenza mi consigli? Dove mi consigli di andare a comprare scarpe di qualità in rete?
Quando succede questo sono felice, anche se il mio lavoro è pure molto altro.
Sono felice perché la reazione non è sempre così positiva, da alcune persone infatti la moda e il mio lavoro relativo all’immagine vengono percepiti come cose futili e superficiali.
La nostra immagine e il modo in cui ci presentiamo al mondo è in realtà tutto tranne che una cosa frivola.
L’immagine è quello che ci definisce al primo impatto.
Ciò che mostriamo di noi crea immediatamente in chi abbiamo davanti una idea conscia o inconscia di quello che potrà aspettarsi.
Ti faccio un esempio.
La scorsa settimana Daria Bignardi alle Invasioni Barbariche ha intervistato Gianluigi Paragone.
Avevo visto qualche spezzone della Gabbia ma non conoscevo la storia del suo conduttore.
A colpirmi non è stato tanto il fatto che fosse passato dalla direzione della Padania alla conduzione di un programma di politica su La7 quanto il cambiamento d’immagine, conseguente a questa mutazione lavorativa, che la buona Bignardi e la sua redazione hanno messo in luce.
Da un look impettito provvisto di giacca, cravatta, pochette e pantalone super elegante e classico è passato senza colpo ferire a camicia di jeans aperta su maglietta colorata, tatuaggi in vista, braccialettini di stoffa, scarpe da ginnastica.
Non voglio investigare se ci sia un team di consulenti d’immagine dietro a Paragone ma nessun dettaglio mi è sembrato lasciato al caso.
Alla domanda di una perplessa Daria Bignardi: “quale sei veramente tu?”
Paragone ha risposto : “sicuramente quello di oggi”.
Non so giudicare quale sia la verita perché non conosco Gianluigi Paragone.
Ad ogni modo, sia che Paragone si sentisse, prima, di doversi omologarsi ad uno stile istituzionale per essere preso sul serio e si sia potuto costruire, poi, un programma su di sè e il suo vero modo di essere, sia che l’abbigliamento giovane (provvisto nella maggiorparte dei casi da chitarra) fosse più propedeutico ad un programma frizzante e aggressivo ( in cui gli invitati non sono seduti ma devono stare in piedi tutto il tempo a rispondere alle domande del paese reale), il messaggio è uno solo: l’immagine conta.
Quello che proponiamo di noi con il nostro aspetto dice molto e il messaggio che vogliamo veicolare deve essere confermato e consolidato anche dalla nostra immagine fisica e, cosa molto importante, la proposta che offre l’una non può essere contraddeta dall’altra.
Quando una donna molto intelligente e di sostanza come Mariela De Marchi, che ha sempre dato più peso al modo di essere piuttosto che al modo di apparire, ha scritto su Facebook che l’aver osato il rossetto rosso l’aveva fatta riflettere sul suo posto nel mondo e fatto venire voglia di mettersi in primo piano, mi ha resa davvero felice.
Cosa c’è di più futile e superficiale del rossetto rosso? Eppure da tempo immemore viene usato dalle donne per un solo motivo: sentirsi più forti.
Se indossi il rossetto rosso sai che passerai meno inosservata, verrai notata e paradossalmente potrai assegnare al rossetto rosso tutte le tue insicurezze. Infatti dando già un punto di focalizzazione e attenzione potrai essere più tranquilla sugli altri elementi del tuo aspetto.
Fai una prova se sei donna (e anche se non lo sei se ti piace): indossa sneakers, jeans e una semplice maglietta e poi metti un rossetto rosso. Ti sentirai subito diversa e ,se non sei abituata ad essere al centro dell’attenzione, probabilmente anche vulnerabile.
Come ho scritto anche in questo articolo, sulla polemica in merito al look delle ministre: vestirsi è un atto consapevole.
Consapevolmente decidiamo cosa dire di noi attraverso la nostra immagine.
Una certa accuratezza nel look dimostra una attenzione verso le cose non certo superficialità e, a mio avviso, la sciatteria è solo l’alibi di chi non è in grado di padroneggiare questo mezzo espressivo.
Infatti anche quelli e quelle che dicono: “alla mattina mi metto quello che capita, entro nell’armadio e ne esco vestito/a”, fanno una scelta; la scelta di lasciar perdere un certo tipo di comunicazione con il rischio, e non solo in particolari importanti situazioni come per esempio i colloqui di lavoro, di dimostrare un certo disinteresse non solo per se stessi ma anche nei confronti dell’interlocutore.
E i chili di troppo o la crisi non sono scuse sufficienti. L’abbigliamento può diventare il nostro migliore amico per camuffare i nostri difetti esaltando i punti forti e non il contrario. Prometto che ne riparlerò qui come ho fatto su Donna Moderna.
E per quanto riguarda la poca capacità economica condivido il punto di vista di “Nina veste tutti” che riesce a scovare pezzi giusti al mercato a pochi euro.
E se non hai tempo di frequentare i mercatini rionali o cercare i negozi più economici della tua città anche la rete è un grande mercatino, basta solo allenarsi.
Neppure lavorare online è più una scusa Per chi lavora con la rete, fino a poco tempo fa, l’immagine era poco importante: chi si occupava di internet non doveva necessariamente metterci la faccia, gli avatar erano concessi e importava saper usare e implementare gli strumenti non che faccia si avesse e come si fosse vestiti mentre lo si faceva.
Adesso come dice anche Domitilla Ferrari, che si definisce guru dell’ovvio ma il suo plus è che l’ovvio non lo dice nessuno, nel suo nuovo libro Due Gradi e Mezzo di Separazione: “le immagini sono molto importanti online. Se vuoi acquisire una certa rilevanza, quindi, devi avere un’immagine che ti rispecchi”.
E tu? Cosa comunica la tua immagine di te?
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