A grande richiesta riparte anche nel 2016 questa rubrica dedicata al made in Italy.
Qui, se la leggi per la prima volta, ti racconto ogni mese la storia di un brand, marchio, artigiano… che crea in Italia e con amore oggetti, abiti, accessori che mi hanno colpito per la loro qualità e originalità. E lo faccio per ispirarti e darti idee di acquisto consapevole, senza chiedere alcuna commissione o controparte alle persone che decido di intervistare.
Così sono libera di dire quello che ritengo possa essere più utile o interessante sapere per te che mi leggi.
Torniamo alla “ragazza con stoffa da vendere”
Definire Erika Rossin, alias Pretty in Mad, una ragazza mi viene spontaneo.
Erika mi sembra una di quelle persone che non ha paura del tempo che passa, perché ogni giorno porta con sé una sfida.
Anche quella di iniziare a fare della tua passione un lavoro, quando sembrerebbe troppo tardi per mettersi a cambiare tutta la tua vita.
E per questo mi piace pensare che rimarrà sempre una ragazza anche quando i 40 diventeranno 80.
È un mondo divertente quello del suo e-shop, in cui i colori sono luminosi e ogni parola e ogni oggetto porta con sé una forza speciale.
Le creazioni di Erika mi sono piaciute dalla prima volta che le ho viste.
Dalla prima volta che ho guardato il profilo Instagram di colei che mi aveva chiesto un consiglio sul farsi i capelli rosa invece di arancione.
Ho trovato molto particolari e divertenti le stoffe usate per la base di cerchietti, borse e pochette (e presto turbanti).
Quando poi la ho contattata per ordinarle un cerchietto, mi ha sorpreso positivamente offrendomi la possibilità di scegliere il disegno e il tipo di tessuto per realizzarlo.
E dandomi queste alternative:
Quando il cerchietto è arrivato nella busta, oltre ad un biglietto scritto a mano, c’erano anche delle caramelle al miele.
Ogni dettaglio curato, ma non affettato, e coerente con l’immagine dolce e irriverente di Pretty in Mad sui social.
Il cerchietto è questo e, da quando mi è stato nelle mie mani, è diventato una delle cose che più amo indossare.
Anche perché è comodissimo, cosa da non sottovalutare per una che lo tiene in testa anche tutto il giorno.
Sono certa che lavorerò presto con lei e studieremo un accessorio per completare il look di qualche mia cliente per un evento, in seguito ad una riorganizzazione del guardaroba o come suggerimento shopping online.
Ma conosciamo meglio Erika attraverso le domande che le ho fatto.
AT:Chi è Erika e come è diventata Pretty in Mad?
Erika è una persona semplice, vive in Veneto con il marito Federico e i gatti Mister e Licia. Ha un passato da addetta alle vendite nei più disparati negozi di abbigliamento, che vanno dalla jeanseria in un centro commerciale alla boutique in centro storico.
Non ama la moda nel senso senso stretto del termine, ma ha gusti ben precisi, sa cosa le piace e cosa no, indipendentemente da ciò che è in voga in quel momento.
Almeno così è come mi vedo io… come mi sento!
Pretty in mad è nata piano piano, un pezzettino alla volta, quando ho finalmente capito un po’ di cose su di me e ho cominciato ad avere fiducia nel mio modo di essere, tipo che non sapere “che cosa va adesso” (come dicono i più) era una mancanza che poteva giocare a mio favore, diventando un punto di forza; che il fatto che mi piacciano solo i capelli che sembrano delle parrucche o che mi faccio i pomelli sempre troppo rossi con il blush, non sono fattori per cui essere presa in giro… o meglio capita anche questo, ma ho deciso che non mi interessa più!
Ancora non lo sapevo ma Pretty in Mad è nata a Manchester otto anni fa, quando mi sono tatuata queste tre paroline sul braccio, prima di lasciare la città per sempre, dopo averla sentita come casa mia per ben sei mesi.
E’ stato un passaggio che ha richiesto diversi anni, ma quando i tempi sono stati maturi Pretty in Mad mi ha fatto capire che era tempo di mettersi in gioco prima con il blog e la fotografia analogica (il primo step che mi ha permesso di creare una piccola community on line attorno a me) e poi con il cucito che è diventato in breve il mio lavoro a tempo pieno.
Pretty in Mad è quella tosta tra le due e ci compensiamo alla grande!
AT: Cosa significa lavorare con le mani per te?
Lavorare con le mani significa vedere una forma e un significato nei materiali prima che ne abbiano uno.
Lavorare con le mani è avere cura e rispetto di questi materiali, è dare loro uno scopo e una vita: quando ho finito con loro non hanno più bisogno di me e sono pronti ad andare in giro da soli per il mondo.
AT: Come è maturato questo amore?
Diciamo che la manualità mi è sempre stata familiare (alle mie Barbie facevo i vestiti all’unicinetto, per dire) ma se parliamo nello specifico del cucito diciamo che stato un passaggio lento (anche se inesorabile).
Il primo problema da affrontare è stato un corso di cucito di cinque lezioni, in cui c’era questa insegnante, assolutamente convinta che io non fossi portata per ago e filo e soprattutto riteneva abbastanza sciocchi i miei progetti (mentre le altre avevano comprato cartamodelli per cucirsi da sole abiti da sera io mi ero presentata con i fogli stampati di due tutorial: uno per fare una pochette e l’atro per cucire una tracolla per fotocamere).
Al contrario di ciò che può sembrare, io non ho tutta questa grinta che mi viene solitamente attribuita e, morale della favola di 5 lezioni ne ho frequentate 4 per poi abbandonare, demoralizzarmi e non toccare la macchina da cucire per un anno intero.
Nel frattempo ho creato bijoux e fatto altro, ma sentivo che non era la strada giusta.
Poi però, evidentemente il richiamo era troppo forte e mi ci sono rimessa, questa volta da sola, guardando tanti tutorial on line e ho capito che amavo davvero cucire.
Con il senno di poi quando ci penso mi sento una stupida ad aver sprecato tutto quel tempo, ad essermi lasciata influenzare così negativamente da una persona che in fin dei conti non aveva capito niente di ciò che volevo fare, ma ho imparato bene la lezione: nessuno può dirmi cosa sono o non sono capace di fare, perché dipende solo ed esclusivamente DA ME.
AT: Tu hai una produzione continua e molto diversificata , come nasce il processo creativo? Parti da una idea, da un oggetto o da un elemento come la stoffa?
Il processo creativo è per me sempre una cosa un po’ complicata da spiegare, perché per quanto mi riguarda ogni volta è diverso, ma proverò ad illustrarlo per sommi capi.
Intanto mi preme sottolineare che parto sempre dal presupposto che voglio produrre solo articoli che io stessa comprerei, quindi un genere può essere il trend assoluto della stagione e vendere come il pane (vedi ad esempio Frida Kahlo in mille salse oppure i tessuti con stampe africane che ultimamente vanno fortissimo) ma se non è nelle mie corde, se non rispecchia “il mio stile” io non lo prendo in considerazione.
Quindi da qui già si può evincere che, nel processo creativo, il mio gusto sicuramente prevale rispetto a quello che il mercato chiede. Non so onestamente se sia una scelta saggia dal punto di vista commerciale, ma per il momento mi sento a mio agio su questa strada e perciò vado avanti così.
Mi sono proposta di vendere solo ciò che io stessa comprerei, e questa filosofia mi piace molto.
Per quanto riguarda le idee e tutto ciò che ne consegue, sono sempre più o meno pensieri del tipo “mi piacerebbe fare questa tal cosa”, ci rimugino per giorni interi, magari mi dimentico, poi mi torna in mente e ad un certo punto TAC! la folgorazione su COME FARLO. A quel punto prendo tra le stoffe che ho a disposizione quelle che i sembrano più adatte – o le ordino, se è il caso – e comincio a mettere le mani in pasta. Nascono così i prototipi.
Quindi posso dire che parto da un’ idea. Difficilmente un tessuto, da sé, riesce suggerirmi cosa diventerà, molto più spesso invece ordino stoffe avendo già in mente un “cosa” pur ignorando ancora il “come”.
AT: Capelli rosa o arancio?
Da grande fan di Netflix (mi sono procurata un piccolo tablet con cui lo guardo ininterrottamente durante le ore di cucito) ti dico “Orange is the new black”, per due motivi: uno è che nero e arancio sono i colori che ho portato di più e il nero è e rimarrà per sempre il mio preferito, ma ormai mi invecchia un sacco quindi l’ ho abbandonato (e poi se malauguratamente ti stanchi e decidi di cambiare toglierlo è un gran problema, facevo il nero blu e i ci sono voluti due decapaggi e una decolorazione per arrivare al castano, tragedia insomma), e secondo perché con l’arancio mi sento veramente a mio agio. Trovo che sia perfetto sia con il mio solito pallore dell’inverno che con l’abbronzatura estiva (ho un’abbronzatura dorata, da bionda, perciò il contrasto non risulta volgare).
Il rosa invece oltre ad essere una schiavitù perché sbiadisce super in fretta e necessita di deco, trovo sia pessimo con la pelle abbronzata e io adoro prendere il sole!
Rimarrò arancio per un bel pezzo, me lo sento!
Quanto mi piace intervistare donne come questa.
Io mi sento ispirata, tu?
Vuoi candidarti per farmi raccontare la tua storia in questa rubrica? Scrivimi e parlami di te, sono sempre felice di leggerti e sicuramente ti risponderò.
Ti è piaciuta questa storia, leggi quelle di Marisa, Silvia, Maddalena, Stefania.
Ciao Anna, bell’articolo e complimenti a Erica, lei spacca davvero!
Volevo esprimere il mio parere sul discorso foto, in quanto non sono d’accordo su quanto dici riguardo le foto a sfondo bianco! Secondo me lo scopo di una foto di un prodotto artigianale non deve essere a prescindere “l’ottimizzazione per polyvore” ma raccontare una storia, ovvero la storia che il proprio target si racconta riguardo le proprie aspirazioni e come il prodotto può soddisfarle.
Certo avere ANCHE foto a fondo bianco può essere utile per polyvore ma non so quanto questo strumento incida nella promozione dell’artigiano medio, e comunque dovrebbe rientrare in una strategia di marketing ben studiata e sicuramente non adatta a tutti. That’s my two cents 😉
Un abbraccio, fran
Ciao Francesca, leggi sopra la risposta a Rita. Sono d’accordo che le foto ambientate e ricche di significato e valori si debbano mantenere. E ovviamente parlavo dal mio punto di vista. Non dimenticare però che ci sono anche altre strumenti oltre a Polyvore e che anche il cliente potrebbe voler vedere l’oggetto singolo per bene senza ambientazione. Poi tutto sta nella strategia, nel target etc, come dici tu. La mia è solo una osservazione, da prendere come suggerimento se in linea con il proprio pensiero.
Ottimo suggerimento! MI sono già fiondata sul suo shop, ha intercettato i miei gusti. Grazie per la segnalazione!
Ciao Anna, trovarmi Erika nella NL stamattina è stata una sorpresa bellissima. Pretty In Mad è una forza! La stimo tantissimo e amo i suoi prodotti e il suo mondo. Una cosa che però non mi trova molto d’accordo è il fatto che tu suggerisca di ottimizzare le foto dei prodotti per Polyvore. I prodotti artigianali per trasmettere tutto il loro valore, per raggiungere davvero la nicchia a cui sono destinati, spesso (la maggior parte delle volte) hanno bisogno di un’ambientazione che non li renda sostituibili con un qualsiasi prodotto acquistabile nei grandi Store. Quella di Erika è una scelta di stile (fotografico e di ambientazione) adattissimo al suo marchio. Non lo sarebbe per tanti altri. In ogni caso, grazie mille per questo post!!
Ciao Rita, sono felice che questa rubrica ti piaccia, anche perché prima o poi tocca pure a te l’intervista 🙂 Sono assolutamente d’accordo sul mantenere anche le foto ambientate che raccontano bene il mondo creativo di ognuna di voi, che va ben oltre i singoli oggetti. Quello che propongo è che oltre alle foto ambientate se ne trovi anche una da poter usare nei set. Ovviamente poi, come dici giustamente, dipende dalla scelta di marketing di ogni grande o piccolo brand.