Come promesso ecco il post sulla divisa che ho scelto come look per i miei corsi.
In realtà quando pensiamo alla parola divisa più di outfit e moda ci vengono in mente il mondo militare e le uniformi.
E in effetti la divisa ci riporta al concetto di uniformare, rendere uguali.
Un po’ come il grembiulino che avevamo alle elementari, indossato sopra ai vestiti per far comprendere ai bambini di essere parte di un tutto, favorire l’uguaglianza ed evitare le differenze.
Con lo stesso intento Steve Jobs aveva tentato di creare una divisa uguale per lui e per i suoi dipendenti, dopo una visita alla Sony negli anni 80, dove indossare la divisa aziendale era diventato un modo di cementare l’unione tra i colleghi e favorire la creazione di una identità corporate. Tentativo fallito quello di Steve (la sua idea di abbigliamento conformato fu stroncata sul nascere da una sommossa), che lo lasciò con 100 pullover neri a collo alto Issey Mikay, tutti uguali, che non gli restò che usare lui stesso, andando a creare la sua di divisa personale, questa:
La divisa uniforma coloro che la indossano ma li diversifica anche da chi non la porta.
Così le uniformi scolastiche americane, adottate ancora oggi nei licei più prestigiosi, non tanto per livellare tra loro gli studenti, quanto per distinguerli da chi (per motivi economici o di merito) non potrebbe permettersi di accedere a quella scuola.
La divisa spiega a che gruppo appartieni e quali sono i suoi ideali.
Lo avevano ben compreso i futuristi che, consci del potere comunicativo della moda e dell’abbigliamento, oltre a poesie, quadri, rime, proclami futuristi avevano ideato anche il vestito anti-neutrale.
La divisa futurista.
E in questo manifesto Giacomo Balla descrive così le caratteristiche proprie degli abiti futuristi:
“1.Aggressivi, tali da moltiplicare il coraggio dei forti e da sconvolgere la sensibilità dei vili.?2. – Agilizzanti, cioè tali da aumentare la flessuosità del corpo e da favorirne lo slancio nella lotta, nel passo di corsa o di carica.?3. – Dinamici, pei disegni e i colori dinamici delle stoffe, (triangoli, coni, spirali, ellissi, circoli) che ispirino l’amore del pericolo, della velocità e dell’assalto, l’odio della pace e dell’immobilità.?4. – Semplici e comodi, cioè facili a mettersi e togliersi, che ben si prestino per puntare il fucile, guadare i fiumi e lanciarsi a nuoto.?5. – Igienici, cioè tagliati in modo che ogni punto della pelle possa respirare nelle lunghe marcie e nelle salite faticose.?6. – Gioiosi. Stoffe di colori e iridescenze entusiasmanti. Impiegare i colori muscolari, violettissimi, rossissimi, turchinissimi, verdissimi, gialloni, arancioooni, vermiglioni.?7. – Illuminanti. Stoffe fosforescenti, che possono accendere la temerità in un’assemblea di paurosi, spandere luce intorno quando piove, e correggere il grigiore del crepuscolo nelle vie e nei nervi.?8. – Volitivi. Disegni e colori violenti, imperiosi e impetuosi come comandi sul campo di battaglia.?9. – Asimmetrici. Per esempio, l’estremità delle maniche e il davanti della giacca saranno a destra rotondi, a sinistra quadrati. Geniali controattacchi di linee.?10. – Di breve durata, per rinnovare incessantemente il godimento e l’animazione irruente del corpo.?11. – Variabili, per mezzo dei modificanti (applicazioni di stoffa, di ampiezza, spessori, disegni e colori diversi) da disporre quando si voglia e dove si voglia, su qualsiasi punto del vestito, mediante bottoni pneumatici. Ognuno può così inventare ad ogni momento un nuovo vestito. Il modificante sarà prepotente, urtante, stonante, decisivo, guerresco, ecc. Il cappello futurista sarà asimmetrico e di colori aggressivi e festosi. Le scarpe futuriste saranno dinamiche, diverse l’una dall’altra, per forma e per colore, atte a prendere allegramente a calci tutti i neutralisti”
Chiudendo con la frase ” Si pensa e si agisce come si veste”.
Così indossando il vestito futurista, senza dover parlare e solo attraverso la propria immagine si sarebbe proclamato un intento, spiegato l’aderire ad una ideologia “aggressiva, dinamica, gioiosa, illuminante, veloce, irruente, guerresca, vivida”.
In una parola: la tuta.
La divisa è anche comoda: se alla mattina so di dover indossare la mia divisa non devo pensare a come vestirmi e mi evito il problema del “cosa mi metto”.
Tutti abbiamo un look con cui ci sentiamo particolarmente a nostro agio. Perché non poterlo replicare ogni giorno, anche al lavoro?
Questo il concetto portato avanti da Mark Zuckerberg, che un po’ di tempo fa aveva affermato di non voler perdere tempo la mattina ad occuparsi di cose futili come lo scegliere i vestiti da indossare.
Segue le stesse ragioni Matilda Kahl, direttrice artistica presso una delle più importanti agenzie pubblicitarie al mondo, la Saatchi & Saatchi, che ha deciso di indossare lo stesso vestito (o almeno tipologia di vestito) ogni giorno da tre anni.
Dice nell’intervista ad Harper Bazar: “I pantaloni e la camicia sono diventati per me una sorta di promemoria quotidiano: ora ho il controllo. Non voglio prendere decisioni su cosa indossare perché ho troppe altre decisioni importanti da prendere. Non solo sto bene col mio look, ma non ci penso nemmeno più. Ed è una cosa ottima”.
Trovo molto interessante in particolare l’espressione usata: “ho il controllo”.
La scelta di Matilda è infatti una scelta di potere, di anticonformismo, di affermazione del sé, una scelta grazie al quale permette a sé stessa di sovvertire le regole.
E tutto questo lo può raccontare in maniera esauriente ai suoi colleghi ogni giorno, senza nemmeno dover aprire bocca ma, semplicemente entrando in ufficio con lo stesso abbigliamento, attraverso la sua immagine, la sua divisa.
Questa:
E così come il look composto da pantaloni dal taglio maschile, camicia bianca e nastrino in pelle annodato a forma di fiocchetto (al posto della cravatta) racconta il modo di essere di Matilda, i jeans, la maglietta a maniche corte, la felpa, le sneakers o i sandali raccontano che Mark Zuckerberg non ha bisogno di seguire il paradigma che vuole il manager multimilionario vestito in giacca e cravatta e che può permettersi di indossare gli stessi abiti che aveva quando ha creato un impero davanti lo schermo del suo pc all’università. Così:
Comodo no?
In realtà per rimanere in ambito pubblicitario, di cui si occupa la forte Matilda (grazie Maricler per la foto)
Quello che indossi è il tuo manifesto e quindi quale è la tua pubblicità?
Anche Matilda e Mark quando si alzano la mattina, vanno all’armadio e scelgono sempre la stessa divisa fanno una scelta.
Vestirsi è sempre una scelta consapevole.
O meglio un racconto.
Optare per una divisa non va, come sostiene il buon fondatore di Facebook, a togliere importanza all’abbigliamento e alla moda come strumenti per comunicare.
Di fatto scegliere una divisa fa una eco ancora più forte al nostro messaggio.
Indossare una divisa comunica:
– le nostre intenzioni
– il nostro modo di essere
– il nostro posto nel mondo, quello che occupiamo e anche quello che vorremmo occupare.
“Dress the part” scegliendo la giusta divisa diventa ancora più significativo.
In più la divisa, che si ripete sempre uguale, aiuterà a farci ricordare.
Pensare ad una nostra divisa, perché è più comodo, non è quindi cosa da sottovalutare e va fatto con estrema consapevolezza.
Trovare la divisa perfetta, che ci stia bene (anche fisicamente), ci faccia sentire a nostro agio, sia coerente con il nostro messaggio comunicativo e lavorativo, spieghi fin dalla prima impressione il nostro personal brand è un percorso a tutto tondo e complesso.
Per questo ai miei clienti o durante i miei corsi o interventi suggerisco di iniziare identificando, magari in prima battuta, un dettaglio come tratto distintivo, con la stessa funzione.
Un buon esempio di divisa coerente con il personal brand è quella di Marie Kondo che nel suo best seller “Il magico potere del riordino” scrive:
E di fatto nel libro racconta che la sua divisa da lavoro è il tailleur con giacca chiara: un capo elegante ma anche scomodo per il suo lavoro di consulente domestica, un mestiere piuttosto fisico e manuale, in cui ci si sporca.
La Kondo scrive nel testo di scegliere questo capo formale per rendere omaggio alla casa di cui si sta occupando, a cui si presenta come in un tempio, con reverenza e rispetto.
E leggendo il tono del libro effettivamente la immagini, mentre con determinazione ti consiglia di buttare tutto il buttabile, sorridente e composta nel suo tailleur.
Come ti anticipavo ho fatto anche io, di recente, un esperimento di divisa.
Ho scelto lo stesso identico, look, in occasione degli ultimi tre corsi che ho tenuto (Venezia, Torino, Bologna).
Ho indossato lo stesso abito di Max and Co. (regolarmente acquistato), colorato, dal tessuto rigido, con vita segnata e gonna strutturata.
Ci ho abbinato calze viola (dello stesso tono del colore della schiena del vestito), stivaletti con il tacco grosso azzurri, cerchietto giallo limone e orecchini pendenti negli stessi colori del look.
Ho fatto di questo look la mia divisa da corso perché:
1. Sta bene con il mio fisico
Grazie alla gonna strutturata posso muovermi senza avere paura che si segni il mio punto debole (le cosce grosse). In più le braccia, un po’ sproporzionate rispetto al resto, sono coperte da maniche a tre quarti (quando sono sotto pressione ho caldo e sudo) e sono più a mio agio.
2. È adatto alla situazione
Sette ore “on stage” richiedono autorevolezza e schiena dritta. Il tessuto è rigido e mi sostiene, il tacco mi slancia e mi fa sentire più sicura, ma è grosso per reggere 7 ore in piedi.
3. È coerente con il mio modo di essere:
Mi piace pensare che i miei vestiti sorridano con me. E questo abito lo fa.
4. È coerente con il modo in cui svolgo la mia professione
Il processo di maieutica che a mio avviso prevede la consulenza d’immagine, in grado di aiutare a mostrare con la propria immagine il meglio di sé stessi, espone alla fragilità e deve essere accompagnato con empatia e dolcezza, quindi ben venga uno stile femminile. I colori del look sono accesi ma luminosi e di base pastello: l’azzurro e il blu tranquillizzano e calmano, il giallo crea simpatia e illumina il pensiero.
5. È coerente con il mio personal brand e la mia promessa di valore
Una delle richieste che mi vengono più spesso fatte dai miei clienti durante la consulenza d’immagine è: insegnami ad abbinare i vestiti! Vorrei imparare ad utilizzare anche le tonalità più forti e le fantasie più estrose, senza diventare volgare o dare l’idea che ho voluto farmi notare a tutti i costi. Un po’ questa cosa qui:
A questo proposito ti confesso una cosa: amo troppo le infinite possibilità di giocare con le forme e i colori che la moda offre e non so se riuscirò ad adottare ancora per molto questa divisa.
Anzi osservando le mie foto mi sono accorta che un dettaglio della divisa lo ho modificato a seconda della tappa: hai scoperto anche tu quale?
E tu? Se immagini la tua divisa da che elementi potrebbe essere composta? Cosa dovrebbe raccontare?
Giorgio dice
Troppo difficile. Non vi capirò mai. 😉
Silvia Lanfranchi dice
Il bracciale! Il bracciale! Hai cambiato quello 🙂
Anna dice
Brava Silvia!