Non ho mai amato la festa della donna.
Ho sempre invece molto amato essere donna.
Mi sono sempre sentita davvero bene in questa pelle, anche se con la cellulite, e non oso nemmeno immaginare cosa voglia dire guardarsi allo specchio e non riconoscersi nel genere che ci è capitato in sorte.
Per fortuna non mi è mai successo.
Anche per questo forse non festeggio la festa della donna: non ho bisogno di un giorno per ricordarmi di essere donna.
Non ho bisogno di un giorno per ricordarmi che la parità dei sessi non è ancora arrivata e che ancora c’è tanto lavoro da fare.
Anzi ricordarlo un solo giorno mi fa pure incavolare.
Complice in tutto questo l’esempio di mia madre che mi ha sempre insegnato ad essere indipendente e fiera nei miei panni e a schivare quelle feste comandate che si trasformano in fretta in un simbolo di ipocrisia.
Per questo da ragazzina mi arrabbiavo pure se l’8 marzo mi regalavano una mimosa (per molto tempo mi sono indignata pure se il fidanzato di turno mi portava i fiori a S.Valentino, per fortuna poi si cresce e si capisce che un bel gesto è un bel gesto e un fiore è sempre bello).
Da quando sono consulente d’immagine però sento in modo diverso questa ricorrenza. Perché spesso la mimosa regalata sono io.
Da anni mi succedere di essere chiamata a tenere corsi e workshop proprio come regalo per la festa della donna da aziende e associazioni a dipendenti e iscritte.
E devo dire che se avessi ricevuto questo regalo quando ero buyer in azienda mi avrebbe fatto piacere più della mimosa.
Così ho incontrato gruppi di colleghe e amiche che, insieme a me, si sono confrontate tra loro facendomi riflettere e imparare proprio come succede ai miei corsi.
Una delle caratteristiche del genere femminile che sento più mia è la voglia di migliorare sempre, di tendere ad una perfezione altra da me, quella capacità di non essere mai soddisfatta che porta tanta frustrazione e ansia ma anche una curiosità in grado aiutare le scoperte e far creare qualcosa di nuovo.
Quel modo di intendersi che aiuta però a vedere i punti deboli prima di quelli forti. Anche nell’aspetto fisico.
Prova a chiedere ad una donna quali sono i suoi difetti fisici ti darà una riposta molto più veloce rispetto ad elencarti i suoi pregi.
Come viene mostrato bene qui:
D’altra parte solo il 3% di noi si vede bella quando si guarda allo specchio.
E in media quando pensa a sé stessa si immagina il 30% più grassa di quello che è.
E anche più brutta.
Prova a riflettere su quando prendi in mano delle foto di qualche anno fa: ti vedi sempre migliore, ti escono frasi come “beh non ero poi così male” e questo non è legato solo al fatto che eri più giovane.
Semplicemente osservando la foto con un distacco maggiore (è come se guardassi finalmente la foto di un’altra persona) ti rendi forse conto della verità, vedi oggettivamente il tuo aspetto (difetti e pregi compresi).
Per questo il confronto con l’altro nello scoprire il sé è fondamentale.
A questo proposito durante i miei corsi su come trovare il proprio stile e comunicare con moda e immagine faccio sempre vedere questo video.
Ad alcune donne viene richiesto di entrare una ad una in una stanza e descrivere sé stesse ad un disegnatore forense seduto di spalle che farà un loro ritratto senza vederle. E dopo aver risposto alle domande necessarie per disegnare il loro viso sono chiamate a dare le informazioni per ritrarre la persona che le ha precedute.
Così mentre di loro enfatizzano subito elementi come: le rughe, i capelli stopposi, il naso enorme, la fronte altissima, delle altre raccontano in maniera oggettiva quello che hanno visto.
Questo è il risultato:
Il primo disegno è sulla base dell’ “autoanalisi”, il secondo delle impressioni altrui.
E ovviamente la realtà si avvicina molto di più al ritratto fatto dalla seconda persona.
Comprendere la nostra bellezza è un fatto di osservarci da fuori, con indulgenza, è un fatto di accettazione e di consapevolezza.
Accettazione e consapevolezza anche della nostra femminilità.
Una cosa che ho notato, parlando con molte donne, è che uno dei colori che si fatica maggiormente ad indossare e verso cui si ha maggiore “rigetto” è quel rosa che tanto ci piaceva e anche ci identificava da bambine.
Con il rosa, mi viene spesso detto, ci si sente esposte, marcatamente donne e questo si teme vada a minare quella credibilità così faticosamente ottenuta, anche sul posto di lavoro.
“Già lo so che essere donna non aiuta nello stipendio e nella carriera perché dovrei farlo notare più del dovuto?” si pensa.
E così, secondo me, si ricade nel dover scimmiottare l’uomo per essere presa in considerazione come un uomo.
Pensando ai due video che ti ho fatto vedere, molto spesso i complessi (la mascella importante e la pelle da gallina) sono le nostre stesse madri, donne come noi, a indurceli; io personalmente non posso nemmeno sentir pronunciare la parola robusta, uno degli aggettivi con cui mia madre, che pure adoro, mi descriveva alle medie.
Sono idealista e spero in un mondo in cui verrò presa in considerazione per come sono e per quello che decido di esprimere di me attraverso la mia immagine e il mio abbigliamento e il mio modo di interpretare la moda con la mia personalità a prescindere dal mio genere.
Sogno un mondo in cui il rosa sarà un colore come gli altri.
In cui femminilità non significherà mancanza di credibilità.
In cui noi donne impareremo la clemenza verso noi stesse e sorrideremo a quello che siamo.
E riusciremo a sostenerci a vicenda, con amore.
La bellezza di una donna sta nel riconoscersi in quello che si è, a prescindere dal genere.
Ti auguro, quindi, con questo look, rosa e giallo mimosa, un 8 Marzo che non sia solo un giorno fatto di auguri, mimose e un po’ di ipocrisia ma un occasione per ragionare su di te e sul posto che meriti nel mondo.
[…] piace che Anna Turcato, consulente di immagine, abbia scritto di questo tema con garbo e delicatezza, raccontando le donne […]