Hai sempre voluto fare la consulente d’immagine?
Ho sempre voluto raccontare storie con le immagini.
In quarta elementare chiesi a mio padre che scuola si dovesse frequentare per diventare scrittori e lui mi rispose “intanto inizia con il Liceo Classico”.
Nei racconti che scrivevo molte righe erano dedicate agli abiti dei protagonisti.
Pur nella mancanza di conoscenza tecnica, descrivevo dettagliatamente colori, forme e ispirazioni
Ho sempre immaginato le mie storie, iniziando dall’aspetto di chi le animava.
Anche quando giocavo con le Barbie non poteva cominciare una “puntata” (così chiamavo i diversi episodi della vita di Jane, Kelly, Nicole e Patricia) senza prima decidere che abiti avrebbero indossato.
E non c’era divertimento maggiore di quando le belle donzelle venivano invitate ad un gran ballo e dovevano sfoggiare lunghi abiti “sapientemente” drappeggiati.
Fazzoletti alla mano, senza saperlo, io e mia sorella Alice ci improvvisavamo provette Vionnet e, come la grande couturier, avvolgevamo la stoffa attorno ai corpi delle nostre bambole per renderle eleganti e statuarie.
Il mio gioco preferito in assoluto?
Ovviamente “Gira la Moda”.
Dedicavo tutta la mia attenzione e il mio tempo per decidere che tonalità avrebbe avuto la pelle del mio figurino, di che colore sarebbero stati i capelli e gli occhi e che abiti avrebbe “indossato”, tra quelli disponibili.
Ogni volta volevo creare una differente combinazione di maglia e gonna, camicia e pantalone, abito e cintura.
Così insegnavo inconsapevolmente al mio occhio ad accordare i colori e scoprivo il magico potere degli abbinamenti.
Gira la Moda consentiva di scegliere anche le fantasie ed è lì che ho imparato che accostare fiori e righe è possibile se la fantasia è in accordo per dimensioni e sfumature scelte.
Mi appassionavo proprio come quando creo i moodboard visuali per i miei clienti durante la consulenza d’immagine.
Crescendo non sono diventata una ragazzina stilosa, una di quelle che seguono le tendenze e sanno recitare le marche “mai senza” come un rosario.
Ho sempre sperimentato con il mio abbigliamento, osando colori e fantasie insoliti e commettendo anche qualche errore di valutazione.
Per esempio per un periodo hanno dominato la scena del mio armadio pantaloni arancioni, rossi, gialli, floreali etc.
Ero “robusta”, come ti ho raccontato qui, e sono portatrice sana di cosciotte.
Ripropongo questa foto per farti meglio comprendere cosa intendo.
I pantaloni eccessivamente colorati o fantasia non erano la scelta migliore per me ma proprio permettendomi di sperimentare e provare sono riuscita a trovare il mio stile.
A identificare quell’insieme di tasselli che parlassero proprio di me.
Non mi sono mai sentita davvero bella e ci è voluto molto tempo per sviluppare un po’ di clemenza verso il mio corpo.
Sono miope, un po’ strabica, quando sorrido un occhio mi diventa più piccolo dell’altro, per anni ho portato grandi occhiali a forma di televisore, ho un viso strano con il mento appuntito, la bocca sottile, gli occhi sono verde marcio e il colore originale dei miei capelli drittissimi è un castano topo.
Quando in gita scolastica, per ingannare il tempo da passare sul bus, la mia amica Erika, pescando da un articolo su Cioè, mi aveva chiesto:
“indicami cosa cambieresti del tuo aspetto fisico e cosa invece ti piace?”
Io avevo salvato solo il naso, dritto e piccolo di cui sono sempre andata fiera.
(Tu cosa risponderesti? Non ti viene in mente nulla? Sei in buona compagnia, guarda il video che trovi qui).
Al liceo ho messo l’apparecchio e, dimagrendo drasticamente, sono arrivate le amiche smagliature a farmi compagnia.
Alle mie smagliature devo molto, come ho scritto qui.
È stato grazie a loro che per me gli abiti sono diventati, in maniera senziente, una seconda pelle con cui valorizzare e rendere confortevole la prima.
In quel periodo ho capito davvero che padroneggiare il linguaggio della moda permette di rendere visibile la luce e la bellezza racchiuse in ogni persona.
Ho realizzato che la moda consente di proporre agli altri un racconto della propria personalità.
Quando mi sono diplomata nel 1999 non c’erano scuole di moda, se non a pagamento, e la mia famiglia, con tre figli, avrebbe faticato a sostenere economicamente la scelta di trasferirmi a Milano e pagare una costosa retta.
Così ho ristretto il campo a due opzioni: Legge e Scienze della Comunicazione.
Nel primo caso mi vedevo indossare i panni dell’avvocatessa rampante in grado di aiutare i deboli e sanare le ingiustizie (e sì immaginavo anche come mi sarei vestita).
Nel secondo caso avevo le idee meno chiare ma mi piaceva il concetto di comunicare con gli altri per lavoro.
Scienze della Comunicazione era a numero chiuso, ho passato molto bene il test, ho pensato che nulla accade per caso e ho deciso di tentare quella strada.
Il corso che ho preferito nei miei 5 anni in facoltà?
Iconografia e iconologia.
Mi sono appassionata allo studio dell’immagine, delle sue forme e dei suoi significati per comprendere ed elaborare la realtà.
Ricordo il momento in cui la la docente ci fece vedere un estratto di quello che sarebbe diventato uno dei miei film preferiti:
“Le gambe delle donne sono dei compassi che misurano il globo terrestre in tutte le direzioni, donandogli il suo equilibrio e la sua armonia”.
E i loro abiti raccontano il modo in cui intendono prendere questa misura.
Quando è stato il momento di definire il tema della mia tesi di laurea non ho avuto dubbi: avrei parlato di moda e avrei approfondito come questa, attraverso le sue immagini, potesse diventare uno strumento di interpretazione e comunicazione.
La mia tesi di laurea è stata quindi in Iconologia e Iconografia con oggetto “Il copricapo nella moda tra la due guerre, significati usi e intenzioni”.
Ho raccontato come un oggetto con una funzione pratica, prima esclusivamente maschile, poi anche femminile assunse progressivamente un ruolo determinante nella definizione dell’abbigliamento, affiancando al semplice valore d’uso un significato simbolico, fino a spingersi ai confini della sublimazione estetica.
Un accessorio il cappello che, come ti spiegavo qui, racconta in particolare e con chiarezza la riscoperta del sé da parte della donna negli anni Venti e Trenta.
(foto post proclamazione di Laurea: come da tradizione goliardica i miei amici mi avevano addobbata con abiti “vintage” e un cappellino in paglia)
Dopo i 5 anni di Università mi sono iscritta ad un corso di Cool Hunting per capire meglio le dinamiche più “nascoste” della moda.
Sai cosa fa il cool hunter?
Il suo compito è di osservare e fornire informazioni e materiali che aiutino a prevedere mode e linguaggi che verranno diffusi dai mezzi di comunicazione, dal fashion system e dai consumi culturali e che diventeranno tendenze.
Dice Wikipedia: La matrice osservativa del coolhunting lo avvicina a metodologie di stampo sociologico ed etnografico.
Il cool hunter osserva e analizza le persone per la strada, le foto che vengono pubblicate, le immagini sui giornali: tutto può essere oggetto di spunto per trovare elementi di connessione che raccontino i cambiamenti che avverranno e le tendenze che, a questi cambiamenti, daranno una risposta.
Il metodo del coolhunter è un metodo iconografico e iconologico e il materiale raccolto dal coolhunter viene poi proposto alle case di moda e utilizzato come ispirazione creativa.
In un affascinante processo che parte dalla strada, arriva alle maison e torna sulla strada dopo un po’ di tempo.
Per intenderci un cool hunter è colui che ha segnalato il ceruleo a Miranda perché lei lo selezionasse la prima volta:
Proprio appena finito il corso vengo contattata da una agenzia interinale per un lavoro di data entry.
“Sono solo pochi mesi”, penso, “posso fermarmi per guadagnare qualcosa”.
L’azienda è nella grande distribuzione e l’ufficio in cui io inserirò i dati si occupa di acquistare prodotti per l’igiene personale (dal profumo allo shampoo).
Batto veloce sui tasti, sono precisa e attenta e il responsabile dell’ufficio apprezza il mio lavoro.
Vengo notata anche dal titolare dell’azienda che ogni tanto si palesa nei corridoi.
Un giorno mi vede, sto portando nei capelli una orchidea in tessuto.
“Chi è “orchidea” e come si comporta? Falla venire nel mio ufficio così la conosco” dirà al mio capoufficio.
Così mi viene offerto il mio primo posto di lavoro, siamo nel 2005, esiste ancora il tempo indeterminato.
Io ne sono felicissima e mi impegno tantissimo nelle mie nuove mansioni.
Non avrei mai pensato di avere a che fare con i numeri per lavoro ma presto capisco il fascino che si cela dietro alle proiezioni di venduto su acquistato e inizio ad immaginare le persone che entreranno nei punti vendita e sceglieranno dallo scaffale quello che io ho selezionato per loro, pensando proprio a loro, perché conosco i loro gusti e i loro bisogni.
È bellissimo capire quale colore di rossetto farà sentire più affascinante quella cliente che è sempre di fretta, non ha tempo di truccarsi e che un giorno, dopo la spesa, attirata da un profumo fruttato, entrerà a dare un’occhiata e, colpita da quei colori brillanti, passerà sulle sue labbra proprio quella tonalità luminosa che tu hai scelto e, osservando quanto le dona, procederà all’acquisto.
Quando dopo qualche anno mi viene proposto un lavoro in una azienda di moda decido di seguire le sirene dei miei sogni.
Al lavoro di buyer affianco così quello di stylist e ho modo di mettere in pratica al 100% le conoscenze acquisite durante il corso di CoolHunting.
Ancora oggi mi emoziono quando riconosco, addosso a qualche donna che incontro per caso, una collana, un bracciale o una spilla ideati da me.
“Lei, la cliente, ama il viola, oltre alla versione con le pietre ambra e metallo dorato pensiamone una in cui il viola si abbini al grigio e all’ottanio”
È stato un ottimo allenamento ideare e comprare pensando al gusto degli altri, alla loro personalità e al loro stile di vita, senza imporre una mia visione, ma accompagnando, proprio come faccio oggi come consulente d’immagine, le scelte con suggerimenti di stile basati sulla mia esperienza e la mia competenza moda.
Intanto dopo orchidea ero diventata “quella con la gonna con i fiocchi” e crescendo crescendo, lemme lemme, sono arrivata all’ultima azienda in cui ho lavorato prima di mettermi in proprio.
Ai fiocchi alternavo i fiori, mi era rimasta la passione per i “sotto” fantasia ma avevo capito su quale capo puntare.
Tutto procedeva bene ma un pensiero si stava insinuando sempre di più nella mia testa.
Usavo le mie ferie per formarmi e approfondire le mie conoscenze e ho persino partecipato ad un percorso per neo-imprenditori.
Non so, però, se avrei mai avuto coraggio di lasciare il posto fisso se non ci fosse stato l’incidente.
La faccio breve: vigilia di Natale, superstrada a pochi metri da casa, asfalto bagnato, perdo il controllo della macchina, vado a sbattere sul guardrail, svengo, la macchina sembra una pallina di un flipper e sbatte a destra e a sinistra in una strada, di solito trafficatissima, e in quel momento insolitamente vuota. Mi risveglio con il naso rotto (sì la sola cosa bella che pensavo di avere :D), la macchina distrutta e l’unico pensiero di dimostrare a me stessa che il mio cervello, il mio bene più prezioso, funziona ancora. Comincio a parlare a raffica, il signore dell’ambulanza mi dice che sono logorroica e se so cosa significa, rispondo “sì logos, rea, flusso di parole, perché ho fatto il classico io”.
L’incidente è stato a Dicembre 2011, a Maggio 2012 ho trovato la forza di andarmene ed è iniziato il bello.
Il bello che mi ha consentito di mettere insieme tutte le mie esperienze passate e farne una professione unica e che mi rispecchiasse al cento per cento.
Un lavoro che amo perché mi consente di ascoltare, accompagnare e amare: come spiego in questo post.
Una professione che mi porta in giro per l’Italia e anche all’estero (fisicamente o virtualmente) a fare consulenza, formazione e a spiegare quello che so agli eventi o alle aziende grandi o piccole.
Un mestiere che rende felice me e le persone che mi scelgono.
Vuoi sapere come sono arrivata fino a qui dal momento in cui ho saltato verso l’ignoto?
Lavoro, lavoro, lavoro, impegno, costanza, sacrificio, pazienza, consapevolezza e tanti sorrisi.
Il resto te lo spiego nel mio nuovo corso.
Un corso per accompagnarti a conoscere la professione che amo e che, magari, è anche quella dei tuoi sogni.
Un corso su cui ho riflettuto e lavorato tanto, che sto già testando qui e che ho voluto improntare sull’aiutarti a rendere davvero la tua passione il tuo lavoro e a farlo partendo da te, dalla tua unicità.
Così da identificare la tua chiave personale per sviluppare un metodo e una comunicazione autentici e coerenti con quello che sei.
Un corso che ti preparerà su come valorizzare il tuo cliente con le forme e con i colori, attraverso un insegnamento teorico ma anche esercizi pratici e casi realistici.
E ti fornirà le basi di storia del costume e di terminologia tecnica della moda che, se approcci per la prima volta questa materia, non possiedi.
Un corso che è frequentabile anche in moduli separati a seconda della tua area di interesse.
Quale sognavi sarebbe stato il tuo lavoro quando eri bambina?
Anche tu giocavi a Gira la Moda?
Ti aspetto in aula qui.
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